Tra meno di 30 anni le spiagge in cui andiamo ogni anno potrebbero non esserci più
Il 20% delle spiagge italiane può finire sommerso nei prossimi 25 anni: in Veneto e Sardegna le aree più a rischio.
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EEntro meno di 30 anni le spiagge in cui andiamo ogni estate potrebbe non esistere più. Non si tratta di uno scenario remoto o di allarmismi tropicali: è il futuro possibile delle coste italiane, fotografato dal nuovo rapporto “Paesaggi sommersi” della Società geografica italiana, un’analisi di oltre 250 pagine che ricostruisce come l’innalzamento del livello del mare, l’erosione e la pressione urbanistica stiano trasformando in modo irreversibile il nostro litorale.
Il 20% delle spiagge a rischio entro il 2050
Secondo lo studio, il 20% delle coste italiane potrebbe finire sott’acqua già entro il 2050. Nel lungo periodo lo scenario diventa ancora più drammatico: entro il 2100 la quota sale al 40-45%, con almeno 800mila persone che vivono in aree sotto il livello del mare previsto e che potrebbero essere costrette a spostarsi o dipendere da difese artificiali sempre più imponenti.

Le zone più vulnerabili includono:
- l’Alto Adriatico (tra Veneto e Friuli-Venezia Giulia)
- la costa pugliese intorno al Gargano
- tratti del litorale tirrenico tra Toscana, Lazio e Campania
- le aree costiere di Cagliari e Oristano
- il delta del Po e la laguna di Venezia, già oggi in equilibrio precario
L’Italia ha cementificato la costa: ora quella scelta presenta il conto
Il rapporto sottolinea un paradosso tutto italiano: quasi un quarto dell’area costiera entro 300 metri dalla linea di riva è oggi occupato da infrastrutture artificiali. Con punte che fanno impressione il 47% di costa urbanizzata in Liguria e il 45% nelle Marche.
Le barriere rigide, dai pennelli ai frangiflutti e le scogliere artificiali, proteggono oltre un quarto delle coste basse. Ma non rappresentano una soluzione: anzi, accelerano l’erosione nei tratti limitrofi, aumentano i costi di manutenzione e rendono i litorali ancora più fragili in un contesto di innalzamento dei mari.

Turismo sotto pressione: il 57% dei posti letto si trova nei Comuni costieri
La fascia costiera è il cuore dell’economia turistica italiana: i Comuni costieri ospitano il 57% dei posti letto turistici. Ma la spinta edilizia degli ultimi decenni, trainata proprio dal turismo, ha reso le coste italiane instabili e vulnerabili. Le norme che avrebbero dovuto frenare le nuove costruzioni sono state applicate raramente, schiacciate tra abusivismo e l’eccessivo peso delle attività balneari e ricettive.
La crisi non riguarda solo le spiagge. Nell’estate del 2023 il cuneo salino ha risalito il Po per oltre 20 chilometri, contaminando campi coltivati e mettendo a rischio la disponibilità di acqua potabile. È uno degli effetti più tangibili dell’innalzamento dei mari e della riduzione delle portate fluviali, destinato a intensificarsi nei prossimi anni.

Il rapporto evidenzia che la metà delle infrastrutture portuali italiane e tratti significativi delle aree aeroportuali costiere potrebbero essere pesantemente compromessi. In totale, 2.250 km di porti e opere connesse risultano esposti ai rischi derivanti dalla risalita del mare. Un fattore che tocca direttamente l’economia nazionale e la tenuta dei sistemi logistici.
Per Stefano Soriani dell’Università Ca’ Foscari, la questione è prima di tutto culturale: “Abbiamo trasformato la fascia costiera, ambiente dinamico per natura, in una linea rigida e fragile. Ora serve un cambiamento profondo nei modelli di gestione e pianificazione“. Stessa analisi fatta da Filippo Celata dell’Università La Sapienza di Roma: “L’unica alternativa è fare il contrario di quanto fatto finora: rinaturalizzare i litorali, restituendo loro la capacità di adattarsi“.