La siccità dell’estate 2025 costerà all’Italia una perdita di 6,8 miliardi di euro

La siccità dell’estate 2025 è stimata in 6,8 miliardi di euro di perdite all’Italia, destinati a salire a 17,5 miliardi nel 2029.

La siccità dell’estate 2025 costerà all’Italia una perdita di 6,8 miliardi di euro

AA tre mesi dall’adozione della Strategia europea per la resilienza idrica, l’Italia continua a muoversi tra due estremi che ormai conosciamo bene: troppa acqua, troppo poca acqua. Siamo un hotspot climatico mediterraneo, con un clima che si fa più estremo e frequente, e una gestione della risorsa ancora frammentata, a “compartimenti stagni”. Il quadro tracciato da Legambiente al VII Forum nazionale Acqua, in collaborazione con Utilitalia, è inequivocabile: siccità, alluvioni e inquinamento idrico non sono episodi isolati, ma un sistema di criticità che si autoalimenta quando manca una visione d’insieme.

Dal 2017 al 22 settembre 2025 l’Osservatorio Città Clima ha registrato 142 eventi di siccità con danni, e nel 18% dei casi si è dovuti arrivare a restrizioni d’uso dell’acqua per scopi civili, agricoli, zootecnici e industriali. Ancora più indicativo è il fatto che il 75% di questi episodi si concentri tra il 2020 e il 2024: una progressione accelerata, che tra la primavera 2022 e i primi mesi del 2023 ha pesato per oltre 6 miliardi di euro di perdite nel solo settore agricolo. All’estremo opposto, quando l’acqua arriva tutta insieme, l’Italia incassa la fattura delle alluvioni e frane: fra 2013 e 2022 sono stati dichiarati 179 stati di emergenza per rischio idrogeologico e idraulico, con danni oltre i 15 miliardi (a cui si sommano le “decine di miliardi” legate agli eventi del 2023 in Emilia-Romagna, Toscana e Marche).

Sul fronte qualità, i numeri dicono che oggi il 75,1% delle acque superficiali e il 70% delle sotterranee sono in buono stato chimico (periodo di classificazione 2016–2021). Ma, senza un cambio di passo, entro il 2027 rischiamo che il 30% dei corpi idrici superficiali e circa il 27% di quelli sotterranei non raggiunga lo standard. A incidere sono l’apporto di nutrienti dall’agricoltura, i carichi da reflui urbani, alterazioni idromorfologiche, prelievi e perfino la pressione di specie aliene invasive che cambiano gli equilibri ecologici e fisico-chimici.

Il costo della siccità per l’Italia: fino a 17,5 miliardi di euro nel 2029

A valle di queste cifre, c’è un costo economico crescente. La siccità dell’estate 2025 è stimata in 6,8 miliardi di euro di perdite, destinati a salire a 17,5 miliardi nel 2029 secondo uno studio congiunto di Università di Mannheim e Banca Centrale Europea. A ciò si aggiungono le sanzioni UE per i ritardi su acque reflue e depurazione: 210,5 milioni già pagati, e circa 300 milioni di penalità ancora da versare entro il 2030. Anche sul dissesto idrogeologico la diagnosi è severa: tra 1999 e 2024 sono stati spesi 20,48 miliardi per 25.903 interventi, ma ne risulta concluso solo il 35,7%, mentre l’esposizione al rischio è aumentata nel tempo.

I dati degli incendi boschivi in Italia nel 2025

È in questo contesto che la Strategia europea chiede agli Stati un coordinamento vero, capace di far dialogare adattamento climatico, tutela qualitativa, disponibilità quantitativa e pianificazione territoriale. Per l’Italia questo significa costruire una Strategia nazionale della risorsa idrica che superi la frammentazione, armonizzi norme e competenze e metta a sistema buone pratiche, dati, obiettivi e responsabilità.

Le dieci proposte che Legambiente ha indirizzato al Governo vanno esattamente in questa direzione: piena attuazione della Direttiva Quadro Acque e della Direttiva Alluvioni, varo del D.P.R. sul riuso per usi irrigui, industriali, civili e ambientali, passaggio definitivo dalla gestione emergenziale a piani anti-alluvione e piani siccità co-progettati con i territori. Il cuore dell’intervento, però, è duplice: da un lato ridurre i consumi e migliorare l’efficienza idrica in tutti i settori; dall’altro tagliare gli inquinanti alla fonte (promuovendo agricoltura biologica e integrata di alto livello e avanzando verso un bando universale dei PFAS), rafforzando controllo e monitoraggio su prelievi e scarichi e accelerando la messa a norma di fognature e depurazione secondo la nuova Direttiva 2024/3019.

Il capitolo investimenti racconta una storia in chiaroscuro. Il PNRR ha assegnato 5,3 miliardi (circa 8 miliardi con cofinanziamenti) a riduzione delle perdite, efficienza irrigua, sicurezza dell’approvvigionamento e ammodernamento degli impianti di trattamento. Eppure, come segnala REF Ricerche, solo il 2% dei progetti risulta concluso e circa la metà è in collaudo. Serve una vera “cabina di regia” che sblocchi autorizzazioni, capacità attuativa e filiere di fornitura, con monitoraggio pubblico degli avanzamenti e correttivi rapidi quando gli obiettivi deragliano.

Negli ultimi anni i periodi di siccità si sono intensificati in diverse parti del mondo
© Pixabay

Esistono, però, anche storie che mostrano la strada. Il Lago d’Orta, un tempo tra i più acidi al mondo, è tornato in salute grazie a un percorso pluridecennale culminato in un Contratto di Lago con oltre 130 soggetti. Il depuratore di Fasano-Forcatella (Brindisi) dal 2007 affina le acque e le riutilizza in agricoltura per circa 50 aziende; nei periodi di minor richiesta, le acque alimentano il lago Forcatella per la ricarica indiretta della falda, contrastando la risalita salina. La Città Metropolitana di Milano sta realizzando il progetto Spugna, 90 interventi nature-based in 32 comuni per laminare le piene, conservare acqua in siccità e ridurre l’inquinamento: a oggi 48 cantieri conclusi, 14 aperti, 28 in avvio. Tre esempi concreti di cosa accade quando governance, competenze e soluzioni si tengono per mano.

Anche le utility hanno già messo a fuoco le priorità operative: invasi nuovi e manutenzione di quelli esistenti per trattenere acqua nei picchi e rilasciarla in siccità; interconnessioni tra schemi acquedottistici per sicurezza quantitativa e qualitativa; sviluppo di risorse complementari come dissalazione, riuso e ricarica di falda. Il PNIISSI elenca interventi su opere primarie (invasi, derivazioni, adduzioni, acquedotti) per circa 12 miliardi, con una prima tranche da 950 milioni già stanziata: un’agenda che va accompagnata con procedure snelle, criteri chiari e obiettivi misurabili.

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