Un terzo delle foreste perse non tornerà: l’allarme globale sull’impatto della deforestazione permanente
La principale causa della perdita permanente di foreste è l’espansione agricola, responsabile del 95% delle trasformazioni irreversibili.
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IIl 34% della perdita di copertura arborea globale negli ultimi vent’anni è permanente. Lo rivela un’analisi condotta da World Resources Institute (WRI) e Google DeepMind grazie a un modello AI sviluppato con dati satellitari. Si tratta di circa 177 milioni di ettari di foresta scomparsi per sempre, con effetti profondi su clima, biodiversità e risorse idriche. Particolarmente colpite sono le foreste pluviali primarie dei tropici, dove oltre il 60% della perdita è definitiva.
La deforestazione permanente è legata soprattutto all’agricoltura
La principale causa della perdita permanente di foresta è l’espansione agricola, responsabile del 95% delle trasformazioni irreversibili. Seguono infrastrutture, attività minerarie e urbanizzazione. Le foreste convertite in pascoli o coltivazioni intensive non si rigenerano spontaneamente, con gravi conseguenze per gli equilibri ecologici locali e globali.

Nei tropici, la situazione è ancora più critica: foreste uniche per biodiversità, come quelle dell’Amazzonia o del Sud-est asiatico, vengono abbattute e sostituite da colture o allevamenti su larga scala. In Bolivia, ad esempio, il 57% della perdita di copertura forestale è legata a coltivazioni permanenti come la soia, favorita da politiche governative e dall’espansione agricola delle colonie mennonite.
Foreste, perdite temporanee ma con effetti duraturi
La restante parte della perdita di copertura arborea, classificata come “temporanea”, è legata a tagli forestali, incendi, coltivazioni a rotazione e eventi climatici estremi. Sebbene queste aree possano teoricamente rigenerarsi, il recupero richiede decenni e spesso non restituisce l’ecosistema originario, riducendo la capacità di assorbire CO₂ e ospitare biodiversità.
Nel Nord America e in Russia, ad esempio, gli incendi sono la principale causa di perdita forestale, aggravati da un clima sempre più caldo e secco. In Colorado, il 27% della perdita è legato a infestazioni da coleotteri, amplificate dal riscaldamento globale. In Europa, il 91% della perdita è causato dal taglio del legname, come avviene in Svezia, dove le foreste vengono regolarmente abbattute e rinnovate per la produzione di legno e carta.
Una mappa globale della distruzione: cause diverse, soluzioni diverse
Grazie all’intelligenza artificiale e ai dati di Global Forest Watch, è ora possibile distinguere le dinamiche locali della deforestazione. In Africa, la coltivazione a rotazione spiega il 49% della perdita; in Perù, le miniere aurifere sono responsabili del 28% della deforestazione nella regione di Madre de Dios. In Oceania e Russia, gli incendi spiegano oltre il 60% della perdita forestale.
Ogni contesto richiede risposte mirate. Per fermare la deforestazione non basta una singola strategia. Il WRI suggerisce un ventaglio di soluzioni adattabili ai territori: rafforzare i diritti delle comunità indigene, regolare meglio le filiere agricole, pianificare in modo sostenibile infrastrutture e urbanizzazione, migliorare il monitoraggio forestale.
Deforestazione e clima: una corsa contro il tempo
Il declino delle foreste incide direttamente sul cambiamento climatico: meno alberi significa meno assorbimento di anidride carbonica e maggiore instabilità meteorologica. Inoltre, la distruzione degli ecosistemi forestali minaccia la sopravvivenza di milioni di specie e la sicurezza alimentare di intere comunità.
Questa nuova analisi aiuta a colmare un vuoto informativo che rendeva difficile distinguere tra deforestazione definitiva e disturbi temporanei. Ma serve un cambio di rotta globale: per fermare la deforestazione entro il 2030, come previsto dagli obiettivi internazionali, occorre agire ora, affrontando le vere cause della distruzione delle foreste.