Regno Unito, boom di esportazioni di rifiuti plastici verso i Paesi in via di sviluppo: +84% in sei mesi

Le esportazioni di rifiuti plastici verso l’Indonesia sono passate da 525 tonnellate nel 2024 a 24.006 tonnellate nei primi 6 mesi del 2025.

Regno Unito, boom di esportazioni di rifiuti plastici verso i Paesi in via di sviluppo: +84% in sei mesi

LLe esportazioni di rifiuti plastici dal Regno Unito verso i Paesi in via di sviluppo sono aumentate dell’84% nella prima metà del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024. Lo rivela un’analisi condotta per il Guardian dal gruppo statunitense The Last Beach Cleanup, basata sui dati commerciali dell’ONU. Il fenomeno, che interessa soprattutto Malesia e Indonesia, è stato definito da attivisti e analisti come una forma di “imperialismo dei rifiuti” che scarica sulle economie più fragili il peso dell’inquinamento prodotto dai Paesi ricchi.

Nel dettaglio, le esportazioni britanniche di plastica verso l’Indonesia sono passate da appena 525 tonnellate nel 2024 a 24.006 tonnellate nei primi sei mesi del 2025, mentre quelle verso la Malesia sono salite da 18.872 a 28.667 tonnellate. Complessivamente il Regno Unito ha esportato 317.647 tonnellate di rifiuti plastici nella prima metà del 2025, una cifra sostanzialmente stabile rispetto al 2024 (319.407 tonnellate). Ma la quota destinata a Paesi non appartenenti all’Ocse è raddoppiata, passando dall’11% al 20% del totale.

Rifiuti plastici, un sistema che si sposta e non si risolve

L’aumento delle esportazioni di rifiuti plastici verso l’Asia arriva nonostante le nuove restrizioni imposte da alcuni governi. In luglio, ad esempio, la quota di plastica britannica esportata in Malesia è scesa al 2,8% (circa 1.500 tonnellate), dopo l’introduzione di limiti più severi alle importazioni. Ma come già accaduto in passato — basti ricordare il blocco cinese del 2018 — il commercio dei rifiuti si sposta rapidamente dove le regole ambientali sono più deboli o i controlli meno rigidi.

Secondo Wong Pui Yi, consulente malese del Basel Action Network, “molti commercianti di rifiuti cercano di abbattere i costi evitando i controlli ambientali. Nei Paesi in via di sviluppo, dove le leggi sono più deboli e le capacità di enforcement limitate, è più facile farlo”.

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La denuncia principale degli ambientalisti riguarda la mancata attuazione della promessa fatta dal governo conservatore britannico nel 2023 di vietare le esportazioni di rifiuti plastici verso i Paesi non Ocse. La misura, a oggi, non è mai entrata in vigore. E mentre l’Unione Europea ha già approvato un divieto di esportazione di rifiuti verso le nazioni più povere, che entrerà in vigore nel novembre 2026, il Regno Unito continua a inviare parte significativa dei propri scarti all’estero.

“Il Regno Unito si presenta come membro della ‘high ambition coalition’ nei negoziati globali sulla plastica, ma intanto aumenta le proprie esportazioni verso Paesi come Malesia e Indonesia”, ha commentato Jan Dell, analista di The Last Beach Cleanup. “È ipocrita parlare di ambizione climatica e allo stesso tempo esportare i propri rifiuti. È imperialismo dei rifiuti, e va fermato”.

Un commercio dalle conseguenze umane

Oltre ai danni ambientali, la filiera globale del riciclo mal gestito comporta anche gravi rischi umani e sociali. Un’inchiesta recente, intitolata Boy Wasted, ha rivelato che in Turchia — altro grande destinatario di rifiuti plastici europei — due persone al mese muoiono nel settore del riciclo, spesso rifugiati o lavoratori senza tutele. Secondo il giornalista canadese Adnan Khan, autore dell’indagine, “il sistema dei permessi in Turchia è fragile e la supervisione scarsa. È un sistema rotto”.

James McLeary, direttore della società britannica Biffa Polymers, ha definito “un obbligo morale” ridurre le esportazioni: “Non voglio che i miei rifiuti finiscano in Malesia, o che la vita di un ragazzo venga distrutta perché io ho buttato qualcosa nel bidone di casa mia. È questione di responsabilità umana”.

Il Regno Unito resta tra i tre principali esportatori mondiali di plastica, con circa 600.000 tonnellate l’anno spedite all’estero. Gli ambientalisti chiedono che il Paese segua l’esempio europeo, vietando le esportazioni verso i Paesi non Ocse e chiudendo le scappatoie fiscali che rendono più economico esportare la plastica invece di riciclarla internamente.

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Il Dipartimento britannico per l’Ambiente (Defra) ha risposto ricordando che l’export di rifiuti è soggetto a “severi controlli” e che le nuove riforme per la raccolta e il packaging “sosterranno investimenti per oltre 10 miliardi di sterline” nel riciclo domestico. Ma secondo le organizzazioni ambientaliste, senza un divieto formale e un piano vincolante per la gestione interna dei rifiuti, il Regno Unito continuerà a spostare altrove i propri problemi.

La soluzione, come sintetizza Adnan Khan, “non è spedire la plastica lontano, ma imparare a gestirla dove la produciamo”. Una lezione che l’Europa ha iniziato a mettere in pratica, mentre Londra resta indietro, tra promesse disattese e un modello che — più che riciclare — rischia di perpetuare l’illusione della sostenibilità.

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