Rapporto Climate Analytics: il pianeta può ancora tornare a 1,5°C, ma serve un’azione immediata sui combustibili fossili
Il nostro pianeta ha già superato, per due anni consecutivi, il limite simbolico dei 1,5°C fissato dall’Accordo di Parigi del 2015.
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CC’è ancora una possibilità per riportare il pianeta entro la soglia di sicurezza di 1,5°C di riscaldamento globale, ma solo se i governi agiscono subito e in modo coordinato per ridurre le emissioni. È il messaggio centrale del nuovo rapporto di Climate Analytics, pubblicato alla vigilia della COP30 di Belém, il vertice ONU che si apre lunedì in Brasile. Lo studio indica una road map in grado di contenere l’aumento della temperatura media globale a 1,7°C entro la metà del secolo, per poi riportarlo sotto 1,5°C entro il 2100 grazie all’eliminazione graduale dei combustibili fossili e all’uso di tecnologie di rimozione del carbonio.
Una corsa contro il tempo dopo due anni sopra la soglia
Il nostro pianeta ha già superato, per due anni consecutivi, il limite simbolico dei 1,5°C fissato dall’Accordo di Parigi del 2015. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), i piani climatici attuali dei governi — i cosiddetti contributi determinati a livello nazionale (NDCs) — porterebbero il pianeta verso un riscaldamento di 2,3°C-2,5°C, e in alcuni scenari fino a 2,8°C. Un aumento che gli scienziati definiscono “catastrofico”, in grado di amplificare eventi estremi e danneggiare in modo irreversibile gli ecosistemi chiave del pianeta.

Il rapporto di Climate Analytics avverte che un superamento temporaneo della soglia di 1,5°C sarà ormai inevitabile, ma può essere contenuto se il tempo trascorso oltre questo limite viene ridotto al minimo. «L’overshoot di 1,5°C è un fallimento politico – afferma Bill Hare, amministratore delegato di Climate Analytics – ma possiamo ancora tornare al di sotto di questa soglia entro la fine del secolo. Ogni decimo di grado conta, perché riduce il rischio di danni irreversibili e di attraversare pericolosi punti di non ritorno».
Tra i tipping points climatici più temuti, gli scienziati citano la fusione della calotta glaciale della Groenlandia e il rischio che l’Amazzonia smetta di essere un “pozzo di carbonio” per diventare una fonte di emissioni. A questi si aggiungono il collasso dei coralli negli oceani tropicali — fenomeno che secondo alcuni studi recenti sarebbe già in atto — e lo scioglimento del permafrost artico. Poiché non è possibile definire con certezza le soglie di temperatura che innescano tali processi, ogni incremento di frazioni di grado aumenta il pericolo di cambiamenti irreversibili.
La tabella di marcia per mantenere il pianeta entro 1,7°C
Secondo Climate Analytics, per limitare il riscaldamento a 1,7°C entro la metà del secolo, le emissioni globali dovrebbero diminuire di circa il 20% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019, e poi continuare a calare del 10-11% all’anno negli anni Trenta. Le emissioni di metano, uno dei gas serra più potenti, dovrebbero essere tagliate del 30% entro il 2035. Questi obiettivi, sottolineano gli autori, richiedono un’accelerazione senza precedenti nella diffusione delle energie rinnovabili e nell’elettrificazione dei settori chiave: trasporti, riscaldamento e industria.
«Gli ultimi cinque anni ci hanno fatto perdere tempo prezioso nel decennio decisivo per il clima – spiega Neil Grant, analista di Climate Analytics – ma hanno anche visto una rivoluzione nelle rinnovabili e nelle batterie, con record di installazioni in tutto il mondo. Sfruttare questo slancio può aiutarci a recuperare il ritardo e a costruire un futuro energetico pulito.»
Il fallimento degli impegni nazionali
Secondo i dati UNEP, gli attuali NDCs equivalgono a una riduzione delle emissioni globali di appena 10% entro il 2035 — un livello giudicato del tutto insufficiente per rispettare gli impegni di Parigi. Meno della metà dei Paesi ha aggiornato i propri piani prima della COP30, e molti di quelli presentati mancano di misure concrete per decarbonizzare i settori ad alte emissioni. Di conseguenza, la traiettoria attuale del pianeta resta incompatibile con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e il divario tra parole e azioni continua ad allargarsi.

I leader mondiali si riuniscono a Belém, in Brasile, per discutere proprio di questo: come colmare il “gap di ambizione” tra gli obiettivi dichiarati e le misure reali. Secondo Climate Analytics, la COP30 rappresenta «l’ultima occasione politica» per invertire la rotta, rilanciare la cooperazione globale e fissare nuovi NDCs in linea con la scienza. «Abbiamo ancora la possibilità di riportare il pianeta sotto 1,5°C, ma serve una mobilitazione immediata – ammonisce Hare – e una transizione accelerata che metta fine all’era dei combustibili fossili».