Plastica con una “data di scadenza”: la nuova tecnologia che la fa degradare in giorni, mesi o anni
E se la plastica potesse essere “programmata” per autodistruggersi rapidamente e non disperdersi nell’ambiente? Il promettente studio.
Altre news
LLa plastica potrebbe presto avere una vita programmabile: da pochi giorni a diversi mesi o anni, a seconda delle esigenze. È la prospettiva aperta da una nuova ricerca guidata da Yuwei Gu della Rutgers University, che ha sviluppato un metodo per rendere i polimeri sintetici capaci di autodistruggersi rapidamente, evitando di rimanere nell’ambiente per secoli. Una possibile rivoluzione in un mondo che, nel solo 2022, ha scartato oltre 250 milioni di tonnellate di plastica, di cui appena il 14% riciclato.
Perché le plastiche attuali non si degradano?
Da decenni si tenta di produrre plastiche biodegradabili con materiali naturali come bambù o alghe, spesso però con risultati modesti: molti prodotti si degradano solo in condizioni industriali specifiche e le promesse non coincidono con le performance reali. La domanda da cui parte la ricerca di Gu è semplice ma rivoluzionaria: perché polimeri naturali come DNA e RNA possono rompersi rapidamente, mentre quelli sintetici resistono quasi per sempre?

La risposta risiede in particolari strutture chimiche presenti nei polimeri naturali, chiamate gruppi adiacenti, che facilitano reazioni interne (i cosiddetti “attacchi nucleofilici”) capaci di spezzare le catene molecolari. Nei polimeri artificiali queste strutture non esistono, un aspetto che rende necessarie quantità enormi di energia per scindere i legami.
La nuova tecnica: imitare i polimeri naturali
Il gruppo di ricerca ha creato strutture chimiche artificiali che imitano i gruppi adiacenti dei polimeri biologici, inserendole nella produzione di nuove plastiche. Il risultato: materiali che possono degradarsi molto più facilmente, e soprattutto con una caratteristica prima impensabile, la durata programmabile.

Variando la struttura delle aggiunte chimiche, i ricercatori riescono a controllare con precisione quanto tempo il materiale resterà integro prima di iniziare a decomporsi: pochi giorni per imballaggi monouso, mesi per prodotti con un ciclo vitale più lungo.
Come si decompone la nuova plastica
Quando il processo di autodistruzione viene attivato – oggi tramite luce UV, anche se basta la normale luce solare – le lunghe catene polimeriche si spezzano in frammenti più piccoli. Gu spera che tali frammenti possano essere recuperati e utilizzati per produrre nuova plastica oppure dissolversi nell’ambiente in modo sicuro. Su questo punto, però, la ricerca è ancora aperta: il “liquido residuo” dopo la degradazione deve essere studiato per verificarne la reale innocuità.
Questa strategia funziona meglio per materiali che devono restare stabili per un tempo limitato, come imballaggi alimentari e altri prodotti monouso. È meno adatta, almeno in questa fase, alle plastiche che devono durare decenni, come componenti strutturali o materiali da costruzione.
Un altro limite importante riguarda la necessità di esposizione alla luce: qualsiasi plastica sepolta, coperta da rifiuti o immersa in condizioni di scarsa illuminazione non si degraderà. Servirà quindi trovare un modo per attivare il processo anche al buio.
Nonostante le sfide aperte, l’idea della plastica programmabile rappresenta uno dei tentativi più concreti per contrastare un problema ormai globale: la persistenza dei rifiuti plastici in ecosistemi terrestri e marini. Se questa tecnologia dimostrerà di essere sicura, scalabile ed economicamente competitiva, potrebbe inaugurare una nuova generazione di materiali progettati per durare solo quanto serve e poi scomparire.