Dal bambù una plastica rigida biodegradabile: una svolta contro l’inquinamento
Un team della Shenyang University of Chemical Technology ha sviluppato una nuova bioplastica ottenuta dalla cellulosa del bambù.
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IIl bambù potrebbe diventare un alleato decisivo nella lotta all’inquinamento da plastica. Un team guidato da Dawei Zhao della Shenyang University of Chemical Technology ha sviluppato una nuova bioplastica ottenuta dalla cellulosa del bambù, capace di eguagliare – e in alcuni casi superare – la resistenza delle plastiche tradizionali impiegate in settori come gli interni automobilistici, gli elettrodomestici e altri prodotti di lunga durata.
Si tratta di una scoperta significativa, perché ad oggi le bioplastiche rigide rappresentano una delle sfide più complesse nella transizione verso materiali sostenibili. I biopolimeri attualmente presenti sul mercato sono infatti spesso meno robusti, difficili da lavorare e poco competitivi rispetto ai derivati del petrolio.
Bambù: un materiale forte, riciclabile e biodegradabile
Il processo sperimentato da Zhao parte da un elemento tanto semplice quanto promettente: il bambù, una pianta a crescita rapidissima e rinnovabile. La cellulosa viene prima scomposta utilizzando cloruro di zinco e un acido, per poi essere fatta reagire con etanolo: da questa trasformazione nasce una plastica rigida, modellabile con tecniche industriali comuni come lo stampaggio a iniezione.

I risultati sono sorprendenti: la nuova bioplastica mostra una resistenza paragonabile alle plastiche ingegneristiche impiegate nelle costruzioni e nei veicoli. Inoltre può essere completamente riciclata mantenendo fino al 90% delle prestazioni originarie. Sul fronte ambientale, i ricercatori affermano che si biodegrada in circa 50 giorni una volta interrata, riducendo drasticamente il suo impatto rispetto alle plastiche convenzionali che persistono per secoli.
Perché questa innovazione conta davvero?
Le plastiche rigide sono tra i rifiuti più inquinanti e difficili da gestire: non si degradano, si accumulano nelle discariche e spesso finiscono negli oceani, dove minacciano la fauna marina. Per questo sostituire anche solo una parte di questi materiali con bioplastiche funzionali potrebbe rappresentare un cambio di paradigma per l’economia circolare.

Resta un limite da considerare: la nuova bioplastica non è adatta agli usi più flessibili e non può competere, almeno per ora, con prodotti come polietilene e polipropilene, molto diffusi negli imballaggi. Ma secondo gli esperti, potrebbe comunque ridurre la dipendenza da alcune delle plastiche più difficili da rimpiazzare.
Dalla ricerca alla produzione: la sfida che resta
Per arrivare al mercato serviranno ulteriori investimenti e test su larga scala. La materia prima, però, è abbondante e sostenibile: il bambù cresce senza richiedere particolari risorse e oggi è utilizzato soprattutto in ambito artigianale. Una rivoluzione industriale basata su questo materiale potrebbe trasformare un’eccellenza naturale già conosciuta in molte culture asiatiche in una risorsa chiave per la decarbonizzazione del settore plastico.
Se confermata e sviluppata, questa tecnologia potrebbe aprire la strada a una nuova generazione di materiali: forti come le plastiche fossili, ma alleati della natura. Una soluzione che non sostituisce tutto, ma che potrebbe cambiare molto.