PFAS anche nell’acqua minerale in bottiglia: i risultati di un nuovo studio
Un’inchiesta rivela la presenza di PFAS nell’acqua in bottiglia: su otto marchi tra i più venduti in Italia, 6 sono risultati contaminati.
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II PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) sono composti chimici di sintesi utilizzati per rendere i prodotti idrorepellenti e resistenti al calore. Sono nelle nostre case più di quanto immaginiamo: padelle antiaderenti, giacche impermeabili, schiume antincendio, cosmetici, imballaggi alimentari. Il loro problema, però, è tanto semplice quanto inquietante: non si degradano. Rimangono nell’ambiente per secoli, si accumulano nei suoli, nelle acque e negli organismi viventi, compreso l’uomo. Per questo sono definiti “inquinanti eterni”.
La scienza ha ormai collegato l’esposizione prolungata ai PFAS a patologie gravi: tumori ai reni e ai testicoli, interferenze ormonali, infertilità, diabete, alterazioni del sistema immunitario. Nonostante ciò, in molti paesi europei — Italia compresa — non esiste ancora un divieto totale di produzione e utilizzo.
PFAS, un’innovazione italiana: identificare le fonti di inquinamento
In questo scenario critico arriva una buona notizia dal mondo della ricerca. Alla Sapienza di Roma, un team guidato dal dottorando Eduardo Di Marcantonio ha messo a punto per la prima volta un metodo di analisi isotopica dei PFAS capace non solo di rilevarne la presenza, ma di tracciare la loro origine industriale. Grazie a oltre 300 test sperimentali e a uno dei laboratori di isotopi stabili più avanzati d’Europa, i ricercatori sono riusciti a identificare “firme isotopiche” specifiche in base al produttore del composto.

Questo significa che, anche in zone altamente contaminate dove le fonti sono multiple e indistinguibili con le analisi tradizionali, sarà possibile risalire ai responsabili dell’inquinamento. Uno strumento potentissimo per la giustizia ambientale e per le comunità colpite, come quelle del Vicentino, dove negli ultimi anni migliaia di persone sono risultate contaminate da PFAS.
PFAS nell’acqua minerale: una nuova indagine accende l’allarme
Mentre la ricerca avanza, un’inchiesta ha rivelato la presenza di PFAS anche nell’acqua in bottiglia. Su otto marchi tra i più venduti in Italia, sei sono risultati contaminati da TFA (acido trifluoroacetico), il PFAS più diffuso al mondo. I valori più elevati sono stati rilevati nell’acqua Panna (700 ng/L), seguita da Levissima e Sant’Anna. Solo Ferrarelle e San Benedetto Naturale non hanno mostrato residui rilevabili.
Il TFA, classificato di recente in Germania come sostanza tossica per la riproduzione, è già stato riscontrato nel sangue umano. La sua presenza nell’acqua imbottigliata dimostra quanto la contaminazione sia ormai pervasiva, andando ben oltre i casi noti di inquinamento industriale.
E l’acqua del rubinetto?
Una precedente campagna di monitoraggio su 260 campioni di acqua potabile raccolti in tutta Italia ha riscontrato PFAS nel 79% dei casi. Il problema, quindi, non è scegliere tra acqua del rubinetto o in bottiglia, ma garantire il diritto universale ad acqua senza PFAS.
Dopo anni di denunce, il governo italiano ha iniziato a discutere un decreto per abbassare i limiti di PFAS nelle acque potabili. Ma le associazioni chiedono di andare oltre: vietare la produzione e l’uso di queste sostanze in tutto il territorio nazionale. Perché abbassare i limiti non basta: i PFAS continueranno a circolare, a depositarsi e ad accumularsi nei nostri corpi.