COP30 in Brasile, la conferenza della verità mancata: stallo sui combustibili fossili

La COP30 di Belém si è trasformata nella COP delle occasioni perse, segnata da compromessi deboli e veti incrociati.

COP30 in Brasile, la conferenza della verità mancata: stallo sui combustibili fossili

LLa COP30 di Belém avrebbe dovuto segnare una svolta storica, a dieci anni dall’Accordo di Parigi. Doveva essere la conferenza dell’attuazione concreta, della verità climatica e delle decisioni coraggiose. Invece, secondo molti osservatori e scienziati, si è trasformata nella COP delle occasioni perse, segnata da compromessi deboli, veti incrociati e un’assenza pesantissima: quella degli Stati Uniti, che ha finito per isolare l’Unione Europea e favorire nuove alleanze tra i grandi produttori di idrocarburi.

COP30 in Brasile, la conferenza della verità mancata

Non è passato inosservato neanche l’incendio scoppiato nella sede del summit negli ultimi giorni del vertice, interpretato da molti come una metafora inquietante: mentre il Pianeta letteralmente brucia, la politica climatica globale continua a limitarsi a interventi emergenziali, senza affrontare alla radice la dipendenza dai combustibili fossili. Il meccanismo decisionale della COP, che consente a pochi Stati di bloccare la volontà della maggioranza, ha dimostrato ancora una volta tutti i suoi limiti. Non a caso, si parla sempre più apertamente della necessità di una riforma strutturale della COP.

© United Nations

L’accordo finale è stato definito da più parti come “un compromesso molto deludente”. Le richieste avanzate dalla maggioranza dei circa 200 Paesi presenti, in particolare una tabella di marcia chiara per l’uscita dai combustibili fossili, sono state respinte da un gruppo ristretto di Stati, tra cui alcuni grandi esportatori e consumatori di petrolio e gas. L’unico risultato di rilievo è l’impegno delle economie più avanzate a triplicare i finanziamenti per l’adattamento nei Paesi a basso reddito entro il 2035 e a mobilitare, sulla carta, 1.300 miliardi di dollari l’anno. Numeri importanti, ma vaghi e lontani dall’essere garantiti.

La COP dei BRICS?

Secondo diversi diplomatici, la COP30 è stata di fatto “la COP dei BRICS”. Mentre il multilateralismo ha cercato di lanciare un messaggio in risposta al disimpegno americano, a emergere non è stata la guida delle Nazioni Unite, ma un nuovo equilibrio geopolitico. I colloqui sui combustibili fossili si sono arenati anche per l’alleanza informale tra Russia, Arabia Saudita, India e Sudafrica, che ha bloccato ogni riferimento esplicito al phase-out. Paradossalmente, più di 80 Paesi avevano firmato una roadmap per l’abbandono graduale delle fonti fossili, inclusa quasi tutta l’Unione Europea, tranne Italia e Polonia.

per la prima volta i combustibili fossili riconosciuti come minaccia per la natura
© Pexels

Per riuscire comunque a portare a casa un risultato formale, la presidenza brasiliana ha proposto la nascita del Meccanismo d’Azione di Belém, uno strumento destinato a coordinare la transizione giusta a livello globale. Tuttavia, nel testo finale non compare alcun riferimento chiaro all’eliminazione dei combustibili fossili. Secondo Legambiente, si è trattato di una scelta politica dettata dall’impossibilità di superare il veto dei “petrostati”. Resta però l’impegno, annunciato insieme al governo colombiano, a lavorare a una roadmap internazionale per il phase-out, il cui lancio è previsto nel 2026 a Santa Marta. Una promessa che, sottolineano gli ambientalisti, dovrà essere seguita da fatti concreti, e che chiama in causa anche il ruolo dell’Italia.

La reazione delusa della comunità scientifica

Durissimo il giudizio della comunità scientifica. Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, ha sottolineato come la COP30 non abbia fornito né verità né implementazione: l’unica possibilità di mantenere vivo l’obiettivo di 1,5 °C sarebbe ridurre le emissioni globali già dal 2026, con un taglio minimo del 5% all’anno. Senza una tabella di marcia concreta per l’uscita dalle fonti fossili, il rischio è quello di superare la soglia critica entro un decennio, innescando effetti irreversibili su ecosistemi e società umane.

Secondo Ottmar Edenhofer, economista del clima e anch’egli direttore del PIK, i messaggi dell’IPCC continuano a essere ignorati. Il mondo discute di nuove tasse su trasporto aereo e marittimo, di commercio e clima, di possibili accordi minilaterali tra Unione Europea e Cina, ma manca ancora un piano globale credibile per affrontare alla radice il problema. Anche il dibattito sulla carbon tax alle frontiere europee, che coinvolge settori come acciaio, cemento e fertilizzanti, è rimasto in sospeso, trasformato in un generico “dialogo continuo” sul rapporto tra commercio e clima.

Un altro aspetto rilevante è stato il tema della disinformazione climatica. Per la prima volta una COP ha riconosciuto ufficialmente il problema e l’esigenza di contrastare le narrazioni false che minano l’azione climatica. Tuttavia, proprio mentre veniva sottolineata l’importanza dell’integrità delle informazioni scientifiche, il ruolo centrale dell’IPCC è stato relativizzato, aprendo la porta a fonti e interpretazioni alternative. Un segnale che secondo molti osservatori rappresenta una pericolosa frattura nel consenso scientifico globale.

A rendere ancora più cupo il bilancio, gli ultimi moniti lanciati dagli scienziati brasiliani. Carlos Nobre ha avvertito che l’utilizzo dei combustibili fossili dovrebbe arrivare a zero tra il 2040 e il 2045 per evitare un aumento della temperatura fino a 2,5 °C entro metà secolo. Uno scenario che significherebbe la quasi totale scomparsa delle barriere coralline, il collasso della foresta amazzonica e lo scioglimento accelerato della calotta groenlandese.

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