Le disuguaglianze sono un’emergenza come il clima: l’allarme della task force del G20

Le disuguaglianze non sono un effetto collaterale dell’economia globale, ma una vera emergenza politica, al pari di quella climatica.

Le disuguaglianze sono un’emergenza come il clima: l’allarme della task force del G20

IIl G20 mette nero su bianco che le disuguaglianze non sono un effetto collaterale dell’economia globale, ma una vera emergenza politica, al pari di quella climatica. A dirlo è il Comitato straordinario di esperti indipendenti sulla disuguaglianza globale guidato dal Nobel Joseph Stiglitz, incaricato dalla presidenza sudafricana del G20. Il primo rapporto del Comitato propone la creazione di un panel internazionale permanente, modellato sull’IPCC per il clima, capace di monitorare i divari di reddito e ricchezza, valutarne le cause e indicare con rigore le risposte più efficaci. Perché — ricorda Stiglitz — il superamento del limite democratico non è “destino”: è politica.

L’emergenza delle disuguaglianze in numeri: una frattura che mina la democrazia

Il quadro è nitido. L’83% dei Paesi del mondo (il 90% della popolazione globale) rientra nella categoria di “alta disuguaglianza” della Banca Mondiale. Nei Paesi più diseguali la probabilità di declino democratico è sette volte maggiore rispetto a quelli più equi: quando la ricchezza si concentra, si concentra anche il potere, con effetti che si propagano su regole, media, rappresentanza.

Sul fronte patrimoniale, tra il 2000 e il 2024 l’1% più ricco ha catturato il 41% di tutta la nuova ricchezza, mentre al 50% più povero è arrivato appena l’1%. In media, questo significa +1,3 milioni di dollari per ciascun individuo del top 1% contro +585 dollari per metà dell’umanità (valori 2024). All’orizzonte c’è poi un massiccio trasferimento generazionale: circa 70.000 miliardi di dollari passeranno in eredità entro dieci anni, con il rischio di cristallizzare i divari e comprimere la mobilità sociale.

Le disuguaglianze sono un'emergenza come il clima
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Il rapporto colloca l’impennata recente dentro una tempesta perfetta di crisi — pandemia, guerra in Ucraina, inflazione e nuove barriere commerciali — che ha spinto verso l’alto povertà e disuguaglianze: oggi una persona su quattro salta regolarmente i pasti, mentre la ricchezza dei miliardari segna nuovi massimi.

A monte agiscono fattori strutturali. La quota di reddito che va al capitale cresce in oltre la metà dei Paesi (74% della popolazione mondiale). I margini medi di profitto di grandi imprese in 134 Paesi sono passati, dal 1980 al 2016, da circa il 15% sopra i costi al 60%, trainati da posizioni dominanti; le multinazionali concentrano oggi il 18% dei profitti globali (era circa il 4% mezzo secolo fa). L’85% della popolazione mondiale non percepisce redditi da capitale: la ricchezza produttiva e finanziaria resta saldamente nelle mani del restante 15%.

Perché serve un panel globale: dati comparabili, politiche verificabili

L’idea centrale è semplice e potente: dotarsi di un’infrastruttura di conoscenza indipendente che, come l’IPCC per il clima, raccolga e armonizzi i dati, valuti con trasparenza le cause dei divari e misuri l’efficacia delle politiche. Un International Panel on Inequality darebbe ai decisori pubblici, ai media e alla società civile un riferimento autorevole, aggiornato e comparabile, riducendo lo spazio per la propaganda e aumentando quello per le soluzioni basate su evidenze.

Le disuguaglianze sono un'emergenza come il clima
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Il Comitato non si ferma alla diagnosi e indica un’agenda coerente su due piani. A livello globale, chiede di riformare l’architettura fiscale (registro globale della ricchezza, minimum tax efficace, tassazione unitaria dei profitti multinazionali), ribilanciare la governance finanziaria (FMI e Banca Mondiale più rappresentativi, uso mirato dei Diritti speciali di prelievo), rivedere proprietà intellettuale e regole del commercio per allineare competitività, transizione verde e diritti sociali, e rafforzare le politiche antimonopolio soprattutto nel digitale.

Sul piano nazionale, la rotta passa per sistemi fiscali e di spesa più progressivi, tassazione delle grandi plusvalenze, rafforzamento dei diritti del lavoro e della contrattazione, salari minimi che garantiscano standard di vita dignitosi, investimenti in servizi pubblici essenziali (sanità, istruzione, abitazione). Il G20, per mandato, è la sede per coordinare questo salto di scala.

Una scelta politica, non un destino

Il mondo ha capito l’emergenza climatica; ora deve riconoscere l’emergenza disuguaglianza“, ripete Stiglitz. Anche Oxfam Italia parla di “pietra miliare”: un passo necessario per portare lo stesso rigore della scienza del clima al cuore della giustizia economica. In un contesto di tensioni geopolitiche e fiducia fragile nel multilateralismo, l’alternativa è chiara: un ordine internazionale al servizio delle persone comuni o un ordine disegnato dagli oligarchi.

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