Acidificazione degli oceani: superato un nuovo “limite planetario”
Anche l’acidificazione degli oceani ha superato la zona di sicurezza e, con questo, i limiti planetari superati diventano 7 su 9.
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IIl 24 settembre l’Istituto Potsdam per la Ricerca sull’Impatto Climatico (PIK) ha lanciato un allarme storico: anche l’acidificazione degli oceani ha superato la zona di sicurezza. Con questo, i limiti planetari superati diventano 7 su 9, segnalando un’accelerazione della crisi ecologica globale.
Cosa sono i limiti planetari (e perché contano)
Introdotti nel 2009 da un ampio gruppo di ricercatori, i limiti planetari definiscono il perimetro entro cui l’umanità può operare senza destabilizzare i sistemi di supporto alla vita terrestre. Oggi risultano oltre soglia: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, cambiamento d’uso del suolo, alterazione dei cicli biogeochimici (azoto e fosforo), pressioni sull’acqua dolce, inquinamento da nuove entità chimiche e, da ultimo, acidificazione degli oceani. Restano (ancora) entro i limiti: aerosol atmosferici e ozono stratosferico.
Perché l’acidificazione è (finalmente) oltre il limite
Gli oceani hanno assorbito circa il 30% dell’eccesso di CO₂ emessa dall’uso di combustibili fossili. Questo assorbimento ha un costo chimico: dall’era preindustriale il pH superficiale oceanico è sceso di ~0,1 unità, che corrisponde a un aumento del 30–40% dell’acidità.
Il nuovo rapporto PIK stabilisce che la soglia di sicurezza è stata superata: gli ecosistemi marini non sono più in condizioni stabili e sostenibili.
Chi è più a rischio
- Organismi calcificanti (coralli, molluschi, pteropodi, parte del plancton): l’acidità ostacola la formazione di carbonato di calcio, indebolendo gusci e scheletri.
- Barriere coralline e coralli d’acqua fredda: hotspot di biodiversità a rischio collasso, con effetti a cascata su habitat e pesca.
- Regioni polari: la combinazione tra acque fredde (che assorbono più CO₂), ondate di calore marine e deossigenazione amplifica lo stress biologico.
Specie “sentinella” come gli pteropodi mostrano già segni di erosione dei gusci. La loro contrazione può perturbare la catena trofica, con ripercussioni su pesci commerciali e sicurezza alimentare per milioni di persone. In parallelo, acque più acide ridurranno la capacità degli oceani di assorbire CO₂, alimentando un pericoloso circolo vizioso climatico.
Il quadro complessivo (2025): 7 limiti su 9 oltre soglia
Il PIK conferma lo sforamento di: clima, biodiversità, uso del suolo, cicli biogeochimici, acqua dolce, nuove sostanze chimiche e acidificazione. Solo ozono e aerosol restano entro i range di sicurezza — il primo anche grazie a politiche efficaci come il Protocollo di Montreal, prova che la cooperazione internazionale può invertire tendenze critiche.
Cosa fare subito?
- Taglio rapido delle emissioni di CO₂ (energia, trasporti, industria) per frenare alla radice l’acidificazione.
- Protezione e ripristino di ecosistemi marini (coralli, praterie di fanerogame, mangrovie) che stoccano carbonio e sostengono la biodiversità.
- Gestione sostenibile della pesca e tutela delle specie chiave della catena alimentare.
- Monitoraggio a lungo termine del pH, dell’ossigeno disciolto e delle ondate di caldo marine per calibrare politiche e adattamento.
Per “miliardi di anni” gli oceani hanno stabilizzato il clima del pianeta; oggi la loro resilienza è sotto pressione. Il superamento del limite sull’acidificazione non è un dettaglio tecnico: è un segnale rosso sul cruscotto della Terra. Come mostrano ozono e aerosol, agire funziona. Ma bisogna farlo subito, e su scala globale.