Rapporto Onu: servono 6.300 miliardi di dollari all’anno per affrontare la crisi climatica
Il mondo deve moltiplicare gli sforzi per evitare gli effetti più gravi della crisi climatica: l’Yearbook of Global Climate Action 2025.
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IIl mondo deve moltiplicare gli sforzi per evitare gli effetti più gravi della crisi climatica. È l’allarme lanciato dallo Yearbook of Global Climate Action 2025, pubblicato dall’UNFCCC, l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata al clima, che stima in 6.300 miliardi di dollari l’anno la cifra necessaria da investire entro il 2030 per contenere l’aumento delle temperature globali. Si tratta di una somma oltre tre volte superiore ai finanziamenti record del 2023, pari a 1.900 miliardi di dollari, segno che il divario tra impegni e azioni resta ancora profondo.
Il rapporto arriva in concomitanza con la COP30 di Belém, a dieci anni dagli Accordi di Parigi, e intende orientare le priorità dei negoziati internazionali, tracciando un bilancio realistico degli sforzi messi in campo da governi, imprese e attori non statali.
Finanza climatica: i progressi non bastano
Dal 2015 a oggi, la finanza climatica globale è quasi triplicata, passando da 700 miliardi di dollari a 1.900 miliardi nel 2023. Tuttavia, il ritmo di crescita è ancora troppo lento per raggiungere i livelli richiesti dall’Onu. Le banche multilaterali di sviluppo hanno mobilitato nel 2024 circa 85,1 miliardi di dollari, in aumento rispetto ai 50 previsti per il 2025, ma ancora molto lontani dal target di 250-300 miliardi annuali fissato per la fine del decennio.

Ancora più critica è la situazione dei fondi per l’adattamento: nel 2022 non hanno superato i 28 miliardi di dollari, una cifra insufficiente per sostenere i Paesi più vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. Secondo l’UNFCCC, questa carenza di risorse rischia di ampliare le disuguaglianze globali, lasciando intere regioni senza strumenti di resilienza adeguati.
Crisi climatica, solo il 38% dei danni da eventi estremi è coperto da assicurazioni
Il rapporto pone l’accento anche sulla necessità di integrare la variabile climatica nel settore assicurativo. Tra il 2015 e il 2023, gli eventi meteorologici estremi hanno causato perdite economiche globali per 2.000 miliardi di dollari, ma solo il 38% di questi danni è stato coperto da polizze assicurative. Nei Paesi in via di sviluppo, dove la copertura è minima o assente, i costi ricadono direttamente su governi e cittadini, aggravando crisi economiche e sociali già esistenti.
Il documento invita le istituzioni finanziarie e gli organismi multilaterali a creare strumenti assicurativi innovativi per la gestione del rischio climatico, in grado di tutelare le economie più fragili e favorire un sistema globale di protezione contro disastri naturali sempre più frequenti.
Energia rinnovabile: crescita importante ma insufficiente
Lo Yearbook evidenzia anche progressi significativi nel campo delle energie rinnovabili. Dall’Accordo di Parigi del 2015 la capacità installata a livello mondiale è più che raddoppiata, superando i 4.400 gigawatt. In dieci anni, questo sviluppo ha generato oltre 16 milioni di posti di lavoro e garantito l’accesso all’elettricità a quasi 300 milioni di persone, soprattutto in Asia e Africa.

Tuttavia, la crescita registrata nel 2024, pari al 15,1%, resta inferiore al 16,6% annuo necessario per triplicare la quota globale di energia pulita entro il 2030, come previsto dagli obiettivi climatici internazionali. Secondo il rapporto, è urgente accelerare la transizione, migliorando la distribuzione geografica degli investimenti e garantendo che i Paesi a basso reddito possano accedere a tecnologie e finanziamenti a costi sostenibili.
La conclusione del rapporto Onu è netta: per evitare di superare la soglia di 1,5°C di riscaldamento globale e contenere i danni futuri, la finanza climatica dovrà più che triplicare entro i prossimi cinque anni. Serviranno politiche fiscali e industriali coerenti, una riforma della finanza internazionale e un maggiore impegno dei Paesi sviluppati nel sostenere quelli più vulnerabili.
La COP30 di Belém rappresenta dunque un passaggio cruciale: a dieci anni da Parigi, il mondo si trova davanti a una scelta storica. Continuare con promesse non mantenute o imboccare finalmente la strada di un finanziamento climatico equo, stabile e su larga scala. Perché, come ricorda l’UNFCCC, il prezzo dell’inazione non è solo economico, ma umano: ogni dollaro non investito oggi significherà costi e perdite molto maggiori domani.