Crisi climatica in Italia: a rischio la produzione di ciliegie, mandorle, pere e pesche

La crisi climatica sta erodendo la base produttiva dell’Italia, rendendo i prodotti meno disponibili, dalle ciliegie alle mandorle.

Crisi climatica in Italia: a rischio la produzione di ciliegie, mandorle, pere e pesche

LLa fotografia scattata dal WWF Italia in occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, il 16 ottobre, è netta: l’attuale crisi climatica sta erodendo la base produttiva del Paese, rendendo i prodotti nazionali meno disponibili e più costosi, dalle ciliegie alle mandorle. La stagione agricola 2025 è stata un banco di prova durissimo: ondate di calore, siccità cronica, inverni anomali seguiti da gelate improvvise, grandinate estive e nuove fitopatie hanno mostrato che non siamo di fronte a eccezioni, ma a una nuova normalità che mette sotto pressione risorse idriche, rese e sicurezza alimentare.

A rischio la produzione italiana di ciliegie, mandorle, pere e pesche

Al Nord le alte temperature estive hanno inciso anche sugli allevamenti: in Lombardia, che produce quasi la metà del latte nazionale, la produzione è scesa fino al 15%, con perdite stimate in 1,8 milioni di litri al giorno. In campo agricolo, a fare più danni è stata la combinazione paradossale di un inverno mite e gelate primaverili tardive: le piante, risvegliate in anticipo, hanno esposto gemme e fiori alla lama fredda di marzo e aprile, perdendo in poche notti ciò che avevano anticipato in settimane.

La crisi dei ciliegeti in Puglia

Emblematica la situazione dei ciliegeti pugliesi, da sempre cuore della produzione nazionale. La regione, che da sola copre circa il 30% del raccolto italiano, ha visto nel 2025 crolli dal 70% fino al 100% in alcune aree del sud-est barese per effetto delle gelate: fiori “bruciati” dal gelo, frutti mancati, redditi azzerati. La carenza si è riflessa in città: a Milano le ciliegie hanno toccato 23 euro al chilo, simbolo di una climateflation che erode i bilanci delle famiglie e restringe l’accesso a frutta e verdura proprio a chi ne avrebbe più bisogno.

Uno scenario simile per le mandorle

Il fenomeno non si ferma alle ciliegie. Le mandorle hanno seguito lo stesso copione, con un calo produttivo regionale fino al 60% e rincari tra +15% e +20% rispetto al 2023; i noccioleti registrano rese che non raggiungono la metà del potenziale; le albicocche chiudono una campagna molto difficile, con un -20% rispetto al 2024 nonostante le attese di rimbalzo; le pesche soffrono delle stesse dinamiche di fioritura anticipata e ritorni di freddo. Tra i comparti più colpiti spiccano le pere: gelate fuori stagione, grandinate, patogeni e la persistente pressione della cimice asiatica hanno portato, secondo Prognosfruit 2025, a un calo nazionale vicino al 25% rispetto al 2024, confermando il ridimensionamento del ruolo dell’Italia in un settore dove era leader europeo.

La crisi acuta si riflette anche sull’apicoltura. Malgrado una tradizione unica per varietà di mieli monoflora e millefiori, la produzione primaverile 2025 si è quasi azzerata, con una ripresa estiva modesta: una perdita economica e, soprattutto, ecologica, perché api e impollinatori sono presidio di biodiversità e produttività agricola.

Il boom dei frutti esotici in Italia

Dentro questo quadro, l’Italia cambia volto. Sulle coste ioniche e tirreniche e nelle pianure interne di Sicilia, Puglia e Calabria, superfici crescenti sono dedicate a frutta tropicale come mango, avocado, papaya, lime e annone. Il boom non è più solo sperimentale: le quantità sono tali da superare il fabbisogno interno e spingersi all’export verso il Nord Europa. È il segno che l’aumento delle temperature medie, combinato a nuove tecniche colturali, sta ridefinendo la geografia agricola nazionale. Ma questa transizione spontanea non compensa le perdite di filiere storiche, né tutela automaticamente suolo, acqua e redditi.

La risposta del sistema produttivo prova a tenere il passo. Centri di ricerca e aziende investono in nuove cultivar più resilienti: viti tolleranti a forti escursioni termiche, drupacee con fioritura posticipata per ridurre il rischio gelo, cereali capaci di affrontare alternanze tra siccità e piogge intense. È una corsa contro il tempo: queste varietà richiedono anni per adattarsi ai microclimi locali, che nel frattempo mutano, e da sole non bastano se non sono accompagnate da una gestione idrica più efficiente, suoli vivi e paesaggi agricoli diversificati.

Per il WWF, la rotta è chiara: dalle pratiche di agroecologia e agricoltura rigenerativa all’economia circolare in azienda, dal ripristino della fertilità dei suoli al riuso delle acque reflue depurate, dalla diffusione dell’agricoltura biologica alla rapida attuazione dei progetti per il risparmio idrico. È la base per un’agricoltura più resiliente e competitiva, capace di garantire qualità e disponibilità nel medio periodo. L’educazione alimentare e le politiche sociali devono tenere il passo: la dieta della salute planetaria proposta da Eat-Lancet 2025, ricca di frutta, verdura, legumi e cereali integrali, può ridurre fino al 70% il rischio di patologie cardiometaboliche e, insieme, abbattere le emissioni agricole e l’uso insostenibile di acqua e suolo. Ma diventa un orizzonte irraggiungibile se i prezzi di questi alimenti continuano a salire, ampliando le disuguaglianze nell’accesso al cibo sano.

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