Ondate di calore legate a 180 aziende: lo studio che punta il dito contro i giganti del petrolio
LLe emissioni di 180 aziende produttrici di combustibili fossili e cemento hanno reso possibili oltre 200 ondate di calore nel mondo tra il 2000 e il 2023. A dirlo è un nuovo studio pubblicato su Nature e coordinato dal Politecnico federale di Zurigo (ETH Zürich), che per la prima volta collega con precisione i disastri
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LLe emissioni di 180 aziende produttrici di combustibili fossili e cemento hanno reso possibili oltre 200 ondate di calore nel mondo tra il 2000 e il 2023. A dirlo è un nuovo studio pubblicato su Nature e coordinato dal Politecnico federale di Zurigo (ETH Zürich), che per la prima volta collega con precisione i disastri climatici estremi alle responsabilità delle singole società.
Ondate di calore legate a 180 aziende: lo studio tedesco
Il team internazionale di ricercatori ha analizzato 213 ondate di calore registrate tra il 2000 e il 2023, confrontando i dati climatici con le emissioni attribuibili ai principali produttori globali di petrolio, gas, carbone e cemento. Il risultato è netto: circa metà dell’intensificazione delle ondate di calore rispetto al periodo preindustriale è imputabile a queste aziende, responsabili del 60% delle emissioni globali di CO₂ dal 1850 a oggi.

Secondo i calcoli, la probabilità di ondate di calore è aumentata di 20 volte nel decennio 2000-2009 e fino a 200 volte tra il 2010 e il 2019 rispetto all’epoca preindustriale. Almeno un quarto degli eventi analizzati, secondo i ricercatori, non sarebbe stato possibile senza il cambiamento climatico.
I casi ExxonMobil e Saudi Aramco
Due grandi nomi in particolare sono stati fatti dai ricercatori tedeschi, i colossi ExxonMobil e Saudi Aramco. Stando ai calcoli, il solo inquinamento da carbonio derivante dai combustibili fossili della multinazionale statunitense ha reso 51 ondate di calore almeno 10.000 volte più probabili rispetto a un mondo senza riscaldamento globale, e lo stesso vale per le emissioni di Saudi Aramco.
Davide Faranda, direttore di ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique francese e non parte del team di studio, ha dichiarato al Guardian: “Questo studio aggiunge un passo cruciale: mette in relazione disastri climatici specifici con le aziende le cui emissioni li hanno resi possibili. Questo ponte potrebbe diventare una pietra miliare per azioni legali e politiche volte a chiedere conto agli inquinatori.

Dello stesso parere è Cassidy DiPaola, portavoce della campagna Make Polluters Pay, che ha alzato il tiro: “Ora possiamo indicare specifiche ondate di calore e dire: ‘Saudi Aramco ha fatto questo. ExxonMobil ha fatto questo’. Quando le loro sole emissioni scatenano ondate di calore che altrimenti non si sarebbero verificate, stiamo parlando di persone reali che sono morte, di raccolti che sono falliti e di comunità che hanno sofferto, tutto a causa di decisioni prese nelle sale dei consigli di amministrazione“.
Un nuovo orizzonte per le responsabilità legali
La ricerca segna una svolta non solo scientifica ma anche giuridica dopo che, lo scorso luglio, la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che le azioni che alimentano il cambiamento climatico sono illegali secondo il diritto internazionale. Ciò potrebbe davvero aprire la strada a richieste di risarcimento non solo contro gli Stati, ma anche contro le imprese. “Ora possiamo collegare specifiche ondate di calore a società come Saudi Aramco, ExxonMobil o Shell“, ha dichiarato DiPaola: “Non parliamo di astrazioni, ma di vite umane perse, raccolti distrutti e comunità devastate“.
Greenpeace Italia sottolinea che, di fronte a prove così solide, le aziende fossili devono pagare per i danni. “Questo studio dimostra che molte ondate di calore non sarebbero state possibili senza le emissioni delle principali compagnie petrolifere”, afferma Federico Spadini. «Non è giusto che i costi ricadano sulla società: devono essere i grandi inquinatori a rispondere economicamente».
Dalla scienza all’azione politica?
Il nuovo approccio, definito “scienza dell’attribuzione”, rappresenta un passo decisivo per la lotta climatica. Collegare eventi estremi a specifici responsabili rende più concreto il principio “chi inquina paga” e potrebbe rivoluzionare le cause legali e le politiche di mitigazione. Come ha spiegato Davide Faranda del CNRS, “questo studio colma il vuoto probatorio che serviva per stabilire la responsabilità diretta di chi ha contribuito alla crisi climatica“.