La Guyana è l’unico Paese al mondo completamente autosufficiente
La Guyana è l’unico Paese davvero autosufficiente: coltiva e produce abbastanza per coprire il fabbisogno nutrizionale dei suoi abitanti.
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SSe da domani il commercio globale di alimenti si bloccasse, solo una nazione al mondo potrebbe continuare a nutrire la propria popolazione senza dover importare cibo dall’estero: la Guyana. A confermarlo è uno studio pubblicato sulla rivista Nature Food, che ha analizzato la capacità produttiva di 186 Paesi nei principali sette gruppi alimentari: frutta, verdura, latticini, carne, pesce, proteine vegetali e prodotti amidacei.
La Guyana è l’unico Paese completamente autosufficiente: coltiva e produce abbastanza per coprire il fabbisogno nutrizionale dei suoi 820.000 abitanti, senza ricorrere a importazioni estere. Tutti gli altri Stati riescono a soddisfare la domanda solo parzialmente. L’Europa, ad esempio, è autosufficiente nei latticini, ma non nella frutta: nessun Paese settentrionale del continente riesce a coprire internamente il proprio fabbisogno di questo gruppo.
Come ha fatto la Guyana a raggiungere questo traguardo?
Dal 2020, il governo ha aumentato del 470% gli investimenti pubblici in agricoltura, puntando su progetti concreti in diversi settori:
- Riso: nel 2025 sono stati destinati 430,9 milioni di dollari guyanesi alla risicoltura, raggiungendo una produzione di 152.000 sacchi di semi all’anno.
- Allevamento e pesca: il settore zootecnico ha ricevuto 1,7 miliardi di dollari guyanesi e ha registrato una crescita del 24,6% nel 2024. La pesca ha visto un aumento del 13,7%, con nuove stazioni di acquacoltura e siti di sbarco modernizzati.
- Apicoltura: la produzione di miele è passata da 2.600 galloni nel 2023 a quasi 30.000 nel 2024 grazie alla distribuzione di 500 arnie.
- Mais e soia: le superfici coltivate sono passate da 10.000 a 25.000 acri, con due raccolti l’anno. Il governo ha investito 1,2 miliardi per strade e infrastrutture agricole.
- Legumi: entro il 2025 si prevede la coltivazione di 1.000 acri di fagioli rossi e occhio nero, con una resa stimata di 1,6 milioni di libbre.

Quali limiti rimangono?
Essere autosufficienti non significa produrre ogni singolo alimento. La Guyana, per esempio, non produce ancora caffè su larga scala e non ha un’industria locale del baby food: la maggior parte di questi prodotti è ancora importata. Tuttavia, grazie a tassi di allattamento esclusivo che superano il 50% e all’uso di alimenti locali come purea di zucca e riso per i neonati, il Paese riesce comunque a rispondere ai bisogni nutrizionali di base.
Il successo della Guyana è anche frutto del coinvolgimento delle nuove generazioni. Il programma nazionale per l’innovazione agricola ha favorito la nascita di oltre 200 serre, gestite da giovani agricoltori, in cui si coltivano broccoli, carote, cavolfiori e altri ortaggi. La rimozione delle tasse sulle macchine agricole e i programmi di fertilizzazione gratuiti hanno ulteriormente incentivato la produzione.
Guyana, un modello in un mondo dipendente dal commercio
Nella classifica della ricerca, solo un Paese su sette è autosufficiente in almeno cinque dei sette gruppi alimentari. Più di un terzo ne copre al massimo due. Paesi come Afghanistan, Qatar, Yemen, Iraq, Emirati Arabi e Macao non raggiungono l’autosufficienza in nessun gruppo. Anche le unioni economiche regionali non fanno meglio: nessuna riesce a produrre abbastanza verdure per la propria popolazione.

Questo mostra quanto sia cruciale il commercio internazionale per garantire diete sane e sostenibili. Ma c’è un rischio: molti Paesi dipendono da un solo partner commerciale per oltre la metà delle importazioni alimentari. Secondo gli autori dello studio, la cooperazione globale è oggi più importante che mai. Affidarsi troppo a pochi fornitori può esporre i sistemi alimentari a shock improvvisi.
“Costruire catene di approvvigionamento alimentare resilienti è fondamentale per la salute pubblica”, ha dichiarato Jonas Stehl, economista dello sviluppo all’Università di Göttingen.