Carne e latticini inquinano più del petrolio: 45 aziende generano oltre un miliardo di tonnellate di gas serra

Le grandi multinazionali della carne e dei latticini sono tra i principali responsabili della crisi climatica: Roasting the Planet.

Carne e latticini inquinano più del petrolio: 45 aziende generano oltre un miliardo di tonnellate di gas serra

LLe grandi multinazionali della carne e dei latticini si confermano tra i principali responsabili della crisi climatica. Secondo il nuovo rapportoRoasting the Planet: Big Meat and Dairy’s Big Emissions” — pubblicato da Foodrise, Friends of the Earth U.S., Greenpeace Nordic e Institute for Agriculture and Trade Policy (IATP) — tra il 2022 e il 2023 le 45 maggiori aziende mondiali del settore hanno generato complessivamente oltre un miliardo di tonnellate di CO₂ equivalenti.

Un volume di emissioni che supera quelle dell’Arabia Saudita, secondo produttore globale di petrolio, e che renderebbe queste aziende, se considerate come un unico Stato, la nona nazione al mondo per emissioni di gas serra. Lo studio arriva a poche settimane dalla COP30 di Belém, in Brasile, nel cuore dell’Amazzonia, dove il tema dell’impatto dell’agricoltura intensiva sarà uno dei più discussi.

Carne e latticini, emissioni peggiori dei giganti del petrolio

Solo le prime cinque aziende in classifica — JBS, Marfrig, Tyson, Minerva e Cargill — hanno prodotto nel 2023 circa 480 milioni di tonnellate di gas serra, più di colossi petroliferi come Chevron, Shell o BP. Di queste, la brasiliana JBS da sola è responsabile di quasi un quarto delle emissioni totali analizzate, con oltre 240 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti.

Tre quarti delle emissioni provengono da appena 15 delle 45 aziende esaminate: un dato che evidenzia il peso sproporzionato dei grandi gruppi agroindustriali nella crisi climatica. L’Italia compare nella lista con il Gruppo Cremonini, che controlla Inalca, responsabile nel 2023 di 14,4 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti.

Più della metà delle emissioni (il 51%) deriva dal metano, gas serra estremamente potente ma a vita breve, prodotto principalmente dai processi digestivi dei ruminanti e dalla gestione dei reflui zootecnici. Secondo lo studio, la quantità di metano rilasciata dalle 45 aziende del settore supera quella generata da tutti i Paesi dell’Unione europea e dal Regno Unito messi insieme nel 2023.

Carne e latticini inquinano più del petrolio
© Pexels

Il metano è considerato un “acceleratore climatico”: ridurlo drasticamente entro il 2030 è essenziale per mantenere l’aumento della temperatura globale entro la soglia di 1,5°C fissata dagli Accordi di Parigi. Tuttavia, la produzione intensiva di carne e latticini continua a crescere, alimentata da modelli di consumo e politiche agricole che ignorano l’impatto reale del settore sull’ambiente.

Il problema della deforestazione e della perdita di biodiversità

Gran parte della carne esportata a livello mondiale proviene dal Brasile, dove l’espansione degli allevamenti è strettamente legata alla deforestazione amazzonica. Gli autori del rapporto denunciano un cortocircuito politico: mentre il mondo si prepara a discutere di transizione ecologica alla COP30, la foresta amazzonica continua a essere distrutta proprio per sostenere l’industria della carne.

“La mancata riduzione delle emissioni zootecniche ci condurrà ben oltre la soglia limite di 1,5°C”, afferma Simona Savini, campaigner di Greenpeace Italia. “Le aziende che puntano su agroecologia e sovranità alimentare dovrebbero essere al centro del sistema, non i maxi allevamenti controllati dalle multinazionali. I governi devono smettere di ignorare l’impatto climatico della produzione industriale e integrare la riduzione delle emissioni agricole nei piani nazionali dopo la COP.”

Diete più sostenibili per un pianeta più stabile

Oltre alla trasformazione del sistema produttivo, lo studio propone un cambiamento profondo anche dal lato dei consumi. Nei Paesi ad alto reddito, dove si concentra l’83% della produzione mondiale di carne e il 77% del consumo globale, la riduzione delle diete a base animale rappresenta la leva più efficace per contenere le emissioni.

Passare a un’alimentazione più ricca di alimenti vegetali nei Paesi sviluppati ridurrebbe le emissioni alimentari di circa il 61% e libererebbe superfici agricole pari alle dimensioni dell’Unione Europea. Se queste terre venissero restituite alla natura, potrebbero assorbire l’equivalente di 14 anni di emissioni agricole globali.

Le richieste del report ai leader mondiali

In vista della COP30, gli autori del rapporto chiedono ai governi di agire su quattro fronti chiave:

  • Trasparenza obbligatoria: rendicontazione pubblica e standardizzata delle emissioni aziendali, inclusi tutti gli ambiti (Scope 1, 2 e 3).
  • Obiettivi vincolanti: limiti precisi e verificabili per la riduzione totale dei gas serra, con focus sul metano.
  • Rimodulazione produttiva: politiche per limitare la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di carne e latticini.
  • Transizione giusta: spostamento dei fondi pubblici dall’agricoltura industriale all’agroecologia e al sostegno di diete più sostenibili.

“Roasting the Planet” mostra come l’industria zootecnica sia oggi una delle superpotenze climatiche del pianeta, paragonabile ai giganti dei combustibili fossili. La transizione verso un sistema alimentare più sostenibile non è più una scelta etica, ma una necessità scientifica e politica: per contenere il riscaldamento globale e garantire un futuro abitabile, non possiamo più permetterci di ignorare ciò che mettiamo nel piatto.

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