Global Hunger Index 2025: oltre 295 milioni di persone in fame acuta, la guerra trasforma il cibo in un’arma
Oltre 295 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di fame acuta. In 42 Paesi la situazione è definita critica.
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LLa fame globale torna a crescere e lo fa con numeri che parlano chiaro. Secondo l’Indice Globale della Fame 2025 (Global Hunger Index – GHI), curato per l’Italia da Cesvi in collaborazione con Welthungerhilfe, Concern Worldwide e l’Institute for International Law of Peace and Armed Conflict, oltre 295 milioni di persone nel mondo vivono in condizioni di fame acuta. In 42 Paesi la situazione è definita critica: 35 sono classificati con fame grave, 7 con fame allarmante.

Dietro alle percentuali ci sono guerre, assedi e intere comunità intrappolate tra violenza e carestia. Nell’ultimo anno, i conflitti armati hanno alimentato 20 nuove crisi alimentari, spingendo nella fame estrema circa 140 milioni di persone. Non si tratta solo di conseguenze indirette della guerra: in molti casi, il cibo è diventato deliberatamente uno strumento di oppressione. Terreni agricoli bruciati, aiuti umanitari bloccati ai confini, convogli alimentari bombardati: la fame usata come arma di guerra per piegare la resistenza dei civili.
Gaza, il simbolo del collasso umanitario
Tra gli scenari più drammatici citati dal rapporto c’è Gaza. Qui, oltre 320mila bambini sotto i cinque anni rischiano la malnutrizione acuta. I numeri non lasciano spazio all’interpretazione: più di 20mila persone sono rimaste uccise o ferite mentre cercavano di procurarsi cibo o accedere agli aiuti. Le infrastrutture sanitarie sono al collasso, i magazzini alimentari distrutti, i corridoi umanitari intermittenti e insufficienti. «Senza un accesso continuativo e sicuro agli aiuti, il rischio di una carestia strutturale è altissimo», avverte Cesvi.
Come funziona il Global Hunger Index?
Il GHI misura la fame su una scala da 0 a 100. Zero indica l’assenza di fame, 100 rappresenta il livello massimo di gravità. L’indicatore si basa su quattro parametri chiave: denutrizione generale della popolazione, deperimento infantile, arresto della crescita nei bambini e mortalità sotto i cinque anni.
Il punteggio peggiore dell’edizione 2025 è quello della Somalia, che raggiunge un valore di 42,6, classificato come allarmante. Insieme a Somalia, anche Haiti, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan, Burundi e Yemen si trovano in una condizione di fame estrema.
L’Africa subsahariana resta l’area più colpita, con un punteggio medio di 27,1, mentre l’Asia meridionale si attesta su 24,9. In 27 Paesi la situazione è peggiorata rispetto al 2016, segno che la fame non solo non arretra, ma torna ad avanzare. In alcune aree dell’Asia sudorientale e dell’America Latina si registrano lievi miglioramenti, ma non sufficienti per invertire la tendenza globale.
“La fame è una scelta politica”
Secondo Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi, “la crisi alimentare non è solo una conseguenza del cambiamento climatico o della povertà strutturale: in molti contesti la fame viene deliberatamente utilizzata come strumento di controllo e annientamento“. È il caso degli assedi di villaggi rurali, della distruzione dei pozzi e delle reti idriche, del blocco dei corridoi umanitari.
Il rapporto chiede con urgenza l’apertura continua e sicura dei canali di aiuto e l’eliminazione delle barriere politiche e militari che impediscono il soccorso. Ogni ritardo, avverte Cesvi, si traduce in vite perse per fame evitabile.