UE, nuova direttiva contro lo spreco di cibo e tessili: obiettivi vincolanti al 2030
Il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva una nuova direttiva per ridurre lo spreco alimentare e tessile.
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QQuasi 60 milioni di tonnellate di cibo e 12,6 milioni di tonnellate di tessili finiscono ogni anno tra i rifiuti in Europa. Numeri che rappresentano non solo uno spreco economico e sociale, ma anche un danno ambientale enorme. Per questo il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva una nuova direttiva per ridurre lo spreco alimentare e tessile, introducendo per la prima volta obiettivi vincolanti e un sistema di responsabilità estesa dei produttori.
Gli obiettivi vincolanti sullo spreco di cibo
La normativa stabilisce target chiari entro il 31 dicembre 2030: riduzione del 10% dei rifiuti nella fase di trasformazione e produzione industriale e del 30% pro capite nei settori della vendita al dettaglio, della ristorazione e a livello domestico. Più della metà degli sprechi, infatti, avviene nelle case europee, quasi il doppio rispetto alla filiera produttiva.
Gli Stati membri saranno obbligati anche ad adottare misure per facilitare la donazione delle eccedenze alimentari, ridistribuendo prodotti invenduti ma ancora consumabili. Secondo la Commissione, lo spreco di cibo genera il 16% delle emissioni di gas serra legate al sistema alimentare europeo e un danno economico stimato in 132 miliardi di euro all’anno.
Tessili e fast fashion nel mirino
L’altra grande novità riguarda il settore della moda. Entro 30 mesi dall’entrata in vigore, ciascun Paese dovrà introdurre uno schema di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR): le aziende che immettono sul mercato abbigliamento, calzature e tessili, comprese quelle straniere e attive tramite e-commerce, dovranno farsi carico dei costi di raccolta, selezione e riciclo dei prodotti a fine vita.

Un passaggio cruciale per contrastare il modello dell’ultra-fast fashion, responsabile di enormi quantità di rifiuti e consumi di risorse. Oggi meno dell’1% dei tessili a livello mondiale viene riciclato in nuovi capi e, secondo l’Agenzia europea dell’ambiente, tra il 4% e il 9% dei prodotti tessili commercializzati nell’UE viene distrutto senza essere mai utilizzato, con un impatto stimato di 5,6 milioni di tonnellate di CO₂ equivalenti.
Un compromesso non privo di critiche
Il compromesso finale, concordato tra Parlamento, Consiglio e Commissione, fissa obiettivi meno ambiziosi rispetto alla proposta iniziale (40% di riduzione per famiglie e ristoranti e 20% per i produttori), sollevando critiche da parte di ONG come il WWF, che avrebbero voluto includere anche le perdite agricole. Restano escluse, infatti, le fasi di coltivazione e allevamento, dove si concentra una parte significativa delle perdite.
Il settore della ristorazione, dal canto suo, aveva espresso contrarietà a vincoli rigidi, preferendo puntare su campagne di sensibilizzazione dei consumatori. Non a caso, oltre il 50% degli sprechi avviene nei nuclei domestici: ridurre gli scarti richiede quindi anche un cambiamento culturale nelle abitudini quotidiane.
Con questa direttiva, che gli Stati membri dovranno recepire entro 20 mesi dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, l’UE compie un passo importante verso una gestione più circolare delle risorse. La gerarchia delle azioni contro lo spreco rimane chiara: prima la prevenzione, poi il riuso (attraverso redistribuzione o conversione in mangime), il riciclo e, solo come ultima risorsa, il recupero energetico tramite incenerimento.
L’obiettivo resta ambizioso: dimezzare gli sprechi alimentari entro il 2030, in linea con gli impegni ONU per lo sviluppo sostenibile. Per riuscirci serviranno non solo regole stringenti, ma anche collaborazione tra istituzioni, imprese e cittadini, così da trasformare il modello di produzione e consumo europeo in chiave sostenibile.