Non basta il km zero: produrre il cibo inquina molto più che trasportarlo
Porre attenzione alla provenienza del cibo non è sufficiente per ridurre l’impatto ambientale della filiera alimentare.
Altre news
AAcquistare cibo a chilometro zero è spesso considerata una scelta sostenibile, ma questa visione è solo parziale. Sebbene ridurre le distanze tra produttore e consumatore possa diminuire l’impatto dei trasporti, la fase di produzione alimentare incide molto di più sull’ambiente rispetto a quella logistica.
Secondo le analisi più recenti, l’intera filiera alimentare è responsabile del 26% delle emissioni globali di gas serra. Di questa percentuale, solo il 6% è imputabile al trasporto, mentre la produzione agricola e zootecnica ne rappresenta la fetta maggiore: il 27% deriva dalle coltivazioni (sia per l’alimentazione umana che animale) e il 31% dalle attività legate ad allevamenti e pesca.
La ragione è chiara: gli allevamenti di ruminanti, come mucche e pecore, producono grandi quantità di metano a causa della fermentazione enterica, un processo digestivo naturale. A questo si sommano le emissioni derivanti dalla gestione del letame, dai fertilizzanti, e dai combustibili fossili usati per la pesca e la lavorazione degli alimenti.
Come si calcola l’impatto ambientale del cibo?
La cosiddetta impronta ambientale del cibo tiene conto di diversi fattori:
- Emissioni di gas serra (carbon footprint), calcolate sommando le emissioni delle diverse fasi produttive.
- Uso del suolo, ovvero quanta terra o mare viene occupato, spesso con conseguenze come la deforestazione e la perdita di biodiversità.
- Consumo di acqua (water footprint), indispensabile soprattutto per la coltivazione e gli allevamenti intensivi.
- Inquinamento da fertilizzanti, che può causare eutrofizzazione dei corsi d’acqua.
- Acidificazione degli oceani, causata dall’assorbimento di CO2 da parte dell’acqua marina, con effetti dannosi sugli ecosistemi.
Le nostre scelte alimentari contano
Studi come la metanalisi di Poore e Nemecek (Università di Oxford, 2018) hanno dimostrato che la carne, in particolare quella bovina, ha l’impatto ambientale maggiore. I dati mostrano chiaramente che modificare le abitudini alimentari è essenziale per ridurre l’impatto sul pianeta.
Alcuni consigli pratici:
- Ridurre il consumo di carne a favore di alimenti vegetali.
- Limitare gli sprechi, acquistando solo ciò che è necessario e conservando gli avanzi.
- Preferire cibi meno processati e più nutrienti.
- Informarsi su fonti affidabili per fare scelte più consapevoli.
E quando si mangia fuori casa?
Anche nei pasti consumati fuori casa è possibile adottare comportamenti sostenibili. Si può:
- Portare con sé il pranzo da casa, in contenitori riutilizzabili.
- Variare la dieta includendo più piatti vegetali.
- Limitare il consumo di junk food ad alta intensità energetica e basso valore nutrizionale.
L’etichetta climatica fa la differenza
Un esperimento online svolto in Germania tra il 2020 e il 2023, pubblicato su PLOS Climate, ha dimostrato che inserire nei menù l’indicazione dell’impronta carbonica dei piatti e un’etichetta “a semaforo” può influenzare in modo significativo le scelte dei consumatori. Quando l’impatto ambientale dei piatti è visibile, le persone tendono a preferire opzioni più sostenibili.
Rispetto a un precedente studio in mensa universitaria, in cui la scelta di piatti vegetariani aumentava del 4,5% se posizionati in cima al menù, l’aggiunta della carbon footprint rafforza ulteriormente la consapevolezza ambientale.
È vero: scegliere cibo locale è utile, ma non sufficiente: per ridurre davvero l’impatto ambientale della nostra alimentazione, è necessario valutare l’intero ciclo di produzione e modificare le nostre abitudini, puntando su diete più vegetali, meno sprechi e maggiore informazione.