Pesca a strascico e biodiversità: il Mediterraneo sotto pressione

I risultati indicano chiaramente che la pesca a strascico è il fattore con l’impatto negativo più forte e costante sulla biodiversità.

Pesca a strascico e biodiversità: il Mediterraneo sotto pressione

UUno studio congiunto dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale – OGS e dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale – ISPRA, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, ha confermato l’effetto negativo della pesca a strascico sulla biodiversità degli organismi che vivono nei fondali del Mar Mediterraneo.

Una ricerca su larga scala per comprendere l’impatto della pesca

Attraverso l’analisi di oltre 5.400 operazioni di pesca scientifica effettuate tra il 2014 e il 2020 in tre grandi sotto-regioni del Mediterraneo (Adriatico, Ionio e Tirreno), i ricercatori hanno utilizzato modelli statistici avanzati per distinguere gli effetti della pesca a strascico da quelli delle variabili oceanografiche naturali come temperatura, profondità, ossigeno disciolto e tipo di substrato.

Pesca a strascico e biodiversità
© Pexels

Lo studio si è basato sui dati del programma internazionale MEDITS e del Joint Research Centre della Commissione Europea, adottando due indicatori chiave della biodiversità: la diversità alfa (numero effettivo di specie in una comunità) e la diversità beta (differenza di composizione tra diverse comunità).

La pesca a strascico riduce diversità e qualità ecologica

I risultati indicano chiaramente che la pesca a strascico è il fattore con l’impatto negativo più forte e costante sulla biodiversità in tutte le subregioni analizzate. Le aree meno colpite da questa pratica presentano una maggiore variabilità nella composizione delle specie (alta diversità beta) e una presenza più abbondante di specie di valore commerciale come nasello, pagello e triglia.

Inoltre, in queste zone si rileva una presenza più frequente di specie vulnerabili come razze e squali, confermando la loro sensibilità agli impatti della pesca intensiva. Al contrario, dove la pressione della pesca è elevata, le comunità risultano più omogenee e dominate da specie pelagiche di piccola taglia e a ciclo vitale rapido, come cefalopodi e piccoli pesci pelagici, probabilmente a causa della riduzione dei predatori bentonici.

La variabilità ambientale non basta a spiegare i cambiamenti

Oltre all’impatto diretto della pesca, lo studio ha preso in considerazione anche fattori ambientali come la profondità (risultata la variabile più importante dopo la pesca), la temperatura, la presenza di ossigeno e la produzione primaria. Tuttavia, nessuno di questi ha mostrato un’influenza tanto marcata quanto quella esercitata dallo strascico di fondo.

La diversità beta è risultata particolarmente sensibile all’intensità della pesca, con una spiegazione statistica che raggiunge il 62,1% delle variazioni osservate nell’Adriatico. Anche per la diversità alfa, seppure con valori più bassi, i modelli hanno confermato un impatto consistente.

Un passo avanti per la gestione sostenibile del Mediterraneo

Come spiega Saša Raicevich, primo ricercatore di ISPRA, lo studio rappresenta un passo fondamentale verso un approccio di gestione ecosistemico e differenziato della pesca nel Mediterraneo. “Questo tipo di analisi ci permette di identificare le comunità più vulnerabili e le aree dove intervenire con misure più restrittive”, sottolinea.

L’obiettivo a lungo termine è sviluppare strumenti efficaci per la conservazione della biodiversità marina e per la gestione sostenibile delle risorse ittiche, in linea con la Direttiva Quadro Strategia Marina dell’Unione Europea. Il prossimo passo, secondo i ricercatori, sarà integrare nei modelli anche l’influenza del cambiamento climatico, sempre più determinante nella dinamica degli ecosistemi marini.

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