Pesca sostenibile: lo stato degli stock ittici marini secondo il nuovo rapporto FAO
Il 35,5% di tutti gli stock ittici è sovrasfruttato dal punto di vista dei livelli biologicamente sostenibili: il rapporto FAO sulla pesca.
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PPiù dati, più chiarezza, ma anche maggiori responsabilità. Secondo la più recente valutazione pubblicata dalla FAO e presentata alla Conferenza delle Nazioni Unite sugli oceani, il 64,5% degli stock ittici mondiali è pescato entro limiti biologicamente sostenibili. Un dato incoraggiante, soprattutto se si considera che in alcune aree ben gestite – come il Pacifico nordorientale e l’Antartico – le percentuali di sostenibilità raggiungono e superano il 90%. Tuttavia, il 35,5% degli stock resta sovrasfruttato, e in molte regioni la pressione sulla pesca continua ad aumentare.
La nuova Review of the state of world marine fishery resources – 2025 della FAO è il documento più completo mai realizzato sullo stato degli stock marini: analizza 2.570 stock individuali grazie al lavoro di oltre 650 esperti in rappresentanza di più di 90 Paesi. I dati mostrano in modo inequivocabile che una gestione basata sulla scienza è la chiave per garantire la sostenibilità delle risorse ittiche. Dove la governance funziona, gli stock prosperano.
Le buone notizie: dove la gestione è efficace, la pesca è sostenibile
Nel Pacifico nordorientale, il 92,7% degli stock è pescato in modo sostenibile. Risultati simili si registrano nel Pacifico sudoccidentale (85%) e in Antartide, dove tutti gli stock valutati risultano sostenibili. Questi risultati non sono casuali: derivano da investimenti a lungo termine, solidi quadri normativi, monitoraggio costante e approcci ecosistemici.
Il Mediterraneo e il Mar Nero – da sempre sotto pressione – iniziano a mostrare segnali di ripresa: solo il 35,1% degli stock è sostenibile, ma la pressione di pesca è diminuita del 30% e la biomassa è aumentata del 15% rispetto al 2013. Una tendenza che indica come cooperazione regionale e impegno nazionale possano fare la differenza.

Le aree critiche: sovrasfruttamento e lacune nella governance
Non ovunque però si registra un miglioramento. Nel Pacifico sudorientale solo il 46% degli stock è gestito in modo sostenibile, mentre nell’Atlantico centro-orientale la percentuale è del 47,4%. Si tratta di aree in cui la pesca è fondamentale per la sicurezza alimentare e l’occupazione, ma dove governance frammentata, carenza di dati e capacità istituzionali limitate rendono più difficile implementare politiche efficaci.
Le specie più pescate e i rischi per gli squali e le specie di profondità
Tra le dieci specie più pescate al mondo – acciuga, merluzzo dell’Alaska, tonnetto striato, aringa dell’Atlantico – il 60% degli stock è sostenibile. Ma se si considera il volume degli sbarchi, l’85,8% proviene da fonti sostenibili. Ottimi risultati anche per tonni e specie affini: l’87% degli stock valutati è sostenibile, con il 99% delle catture che proviene da stock gestiti correttamente.
Preoccupano invece le specie di acque profonde, con solo il 29% pescato in modo sostenibile, e gli squali altamente migratori, spesso vittime di catture accessorie nella pesca al tonno. In quest’ultimo caso, il 57% degli stock è sostenibile, ma la mancanza di una gestione internazionale coerente ostacola i progressi.
Serve più scienza e più cooperazione
Il rapporto FAO evidenzia che, nonostante i grandi progressi nella copertura dei dati, permangono lacune, in particolare nella pesca artigianale. La mancata copertura sistematica dei siti di sbarco aumenta l’incertezza sulle valutazioni, impedendo strategie efficaci.
Per questo, la FAO chiede ai governi di investire nella raccolta e gestione dei dati, colmare le lacune di capacità e allineare le politiche agli obiettivi di sostenibilità. «Ora abbiamo il quadro più chiaro mai realizzato sullo stato della pesca marina – ha dichiarato il direttore generale QU Dongyu – e il prossimo passo è chiaro: rafforzare ciò che funziona e agire con urgenza, affinché la pesca continui a fornire benefici duraturi alle persone e al pianeta».