La Polonia vieta gli allevamenti di animali da pelliccia
La Polonia ha deciso che dal 2025 non sarà più possibile aprire nuovi allevamenti di animali da pelliccia. Quelli esistenti dovranno chiudere.
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LLa Polonia ha compiuto un passo storico nella tutela degli animali e nella transizione verso un modello produttivo più sostenibile. Dal 2025 non sarà più possibile aprire nuovi allevamenti di animali da pelliccia, mentre le circa 200 strutture attualmente operative avranno tempo fino a gennaio 2034 per chiudere definitivamente. Con la firma del presidente Karol Nawrocki, la Polonia diventa così il 18esimo Paese dell’Unione Europea a vietare questa pratica, ma il suo peso politico ed economico rende la decisione particolarmente significativa.
Una decisione storica per il primo Paese produttore europeo
Varsavia è infatti il primo produttore europeo di pellicce e il secondo al mondo dopo la Cina. Ogni anno, più di tre milioni di visoni, volpi, cani procione e cincillà vengono allevati e uccisi nel Paese per la loro pelliccia. Un’industria relativamente recente, sviluppata nel secondo dopoguerra, ma cresciuta fino a fare della Polonia il cuore del settore nel continente.
Il divieto arriva in un contesto di crescente sensibilità sociale: oltre due terzi dei cittadini polacchi, inclusi molti residenti nelle aree rurali, si sono detti favorevoli allo stop. L’associazione Humane World for Animals ha definito la decisione “un momento storico, sottolineando come la sofferenza negli allevamenti da pelliccia sia sistemica. Lo ha ribadito anche l’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) in un recente parere: confinare gli animali per tutta la vita in gabbie metalliche non permette di garantire i loro bisogni minimi di benessere.
Il testo polacco prevede incentivi economici per sostenere gli allevatori nella transizione: chi sceglierà di chiudere l’attività entro il 2029 riceverà rimborsi più elevati. Una strada che potrebbe accelerare l’uscita dal settore ben prima della scadenza fissata, riducendo ulteriormente il numero di animali coinvolti negli anni a venire.
Una scelta che potrebbe cambiare gli equilibri europei
L’iniziativa polacca rafforza la pressione sugli ultimi Stati membri che ancora consentono la produzione di pellicce – Finlandia, Danimarca, Spagna, Ungheria e Grecia – e che ora rischiano un crescente isolamento commerciale e politico. La Commissione europea dovrà esprimersi entro marzo 2026 sulla richiesta popolare avanzata con l’Iniziativa dei cittadini europei “Fur Free Europe”, sostenuta da quasi un milione e mezzo di firme.

La decisione arriva in un momento di forte crisi per il settore: le esportazioni mondiali di pellicce sono crollate da 14,7 miliardi di dollari nel 2013 a 3,4 miliardi nel 2023. Un calo dovuto al cambiamento delle preferenze dei consumatori, al crescente impegno dei marchi della moda per alternative sostenibili e alla preoccupazione per i rischi sanitari legati agli allevamenti, dopo la diffusione di focolai zoonotici negli ultimi anni.
I benefici per il clima, l’ambiente e la salute pubblica
Lo stop agli allevamenti di animali da pelliccia rappresenta anche un vantaggio per il clima. Un chilo di pelliccia di visone genera fino a 31 volte più emissioni di CO₂ rispetto al cotone, e valori anch’essi enormi rispetto ad acrilico e poliestere. Anche volpi e cani procione mostrano impatti climatici fino a 23 volte superiori al cotone. L’eliminazione graduale di questa produzione altamente inquinante avrà effetti positivi sulle emissioni nazionali e sull’inquinamento delle aree rurali.
Non solo. Dopo il Covid-19 e i virus diffusi negli allevamenti di visoni in vari Paesi europei e nordamericani, le preoccupazioni sanitarie restano alte: limitare le possibilità di nuove zoonosi significa prevenire future emergenze sanitarie. La scelta di Varsavia si pone quindi come un atto di civiltà, allineato con il cambio di paradigma della moda internazionale e con la richiesta crescente di soluzioni cruelty-free. Un passo che non solo protegge milioni di animali, ma definisce la direzione in cui molti sperano possa muoversi l’intera Unione Europea.