La Colombia vieta nuovi progetti di petrolio e miniere nella sua Amazzonia
La Colombia manda un messaggio forte: la protezione dell’Amazzonia è una strategia climatica, economica e culturale.
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LLa Colombia ha compiuto una scelta senza precedenti a favore dell’ambiente: nessun nuovo progetto di petrolio o estrazione mineraria su larga scala verrà più autorizzato nell’intero bioma amazzonico del Paese, un territorio che rappresenta il 42% della superficie nazionale e il 7% dell’Amazzonia totale. L’annuncio è arrivato durante la COP30 di Belém, dove la ministra dell’Ambiente ad interim, Irene Vélez Torres, ha dichiarato che la regione diventerà una riserva per le risorse naturali rinnovabili.
La Colombia vieta nuovi progetti di petrolio e miniere in Amazzonia
Si tratta di una decisione presentata come un impegno “etico e scientifico“, che punta a fermare il degrado forestale, la contaminazione dei corsi d’acqua e la perdita di biodiversità che minaccia l’equilibrio climatico dell’intero continente. Secondo Vélez, proteggere la foresta amazzonica significa anche “un atto di sovranità ambientale” e un invito agli altri Paesi amazzonici a fare lo stesso, perché “l’Amazzonia non conosce confini e la sua tutela deve essere condivisa“.

Il contrasto con quanto accade nel resto della regione è netto. Il 68% dei 871 blocchi petroliferi e del gas presenti nel bacino amazzonico è ancora in fase di studio o gara, un’area grande il doppio della Francia. E mentre la Colombia sceglie di non procedere con i 43 blocchi petroliferi e le 286 richieste minerarie che erano ancora sulla carta, altri Paesi si muovono in direzione opposta. Il Brasile, pur rallentando la deforestazione, ha messo all’asta nuovi blocchi energetici e dato il via libera a perforazioni offshore alla foce dell’Amazzonia. Il Perù invita le compagnie straniere a riattivare il grande giacimento Lot 192. L’Ecuador prepara l’asta per 49 progetti petroliferi e del gas del valore di oltre 47 miliardi di dollari.
Secondo il ministero colombiano dell’Ambiente, consentire lo sviluppo dei progetti latenti “metterebbe a rischio l’equilibrio climatico del continente“. La scelta del blocco totale, quindi, non è vista come un freno allo sviluppo economico, ma come un investimento sul lungo periodo, capace di preservare patrimonio naturale, risorse idriche e stabilità climatica.
La presa di posizione contro le multinazionali
Durante un altro evento della COP30, Vélez ha criticato duramente i meccanismi internazionali che permettono alle multinazionali di citare in giudizio gli Stati quando le normative ambientali limitano le loro attività, definendoli una minaccia alla sovranità e un ostacolo alla transizione. Tali strumenti, secondo la ministra, rendono complesso vietare attività estrattive anche quando risultano incompatibili con la tutela degli ecosistemi.
La decisione è stata accolta con favore dai ricercatori e dagli istituti scientifici colombiani. “Le generazioni future devono poter trovare la natura in uno stato sano, così come l’abbiamo conosciuta noi”, ha dichiarato María Soledad Hernández dell’Amazonian Institute for Scientific Research. Per Hernández, parlare di conservazione non significa fermare ogni uso delle risorse, ma garantire che esistano pratiche economiche sostenibili e in armonia con la foresta.
L’annuncio fatto alla COP30 rappresenta uno spartiacque nelle politiche amazzoniche. Con mezzo milione di chilometri quadrati messi al riparo da nuove trivellazioni e grandi miniere, la Colombia manda un messaggio forte: la protezione dell’Amazzonia è una strategia climatica, economica e culturale. E invita gli altri Paesi sudamericani a seguirla, in un momento in cui la foresta affronta pressioni crescenti e rischia di avvicinarsi ai suoi punti critici irreversibili.