Trattato ONU sull’alto mare: dal 2026 nuove regole vincolanti per proteggere gli oceani

Grazie alle due recenti ratifiche, il trattato ONU sull’alto mare diventerà finalmente norma internazionale a partire da gennaio 2026.

Trattato ONU sull’alto mare: dal 2026 nuove regole vincolanti per proteggere gli oceani

DDopo oltre vent’anni di negoziati, il Trattato ONU sull’alto mare (Agreement on the Conservation and Sustainable Use of Marine Biodiversity of Areas Beyond National Jurisdiction) entrerà ufficialmente in vigore il 17 gennaio 2026. La svolta è arrivata in queste ore, quando la soglia minima delle 60 ratifiche necessarie è stata raggiunta grazie al deposito degli strumenti da parte di Marocco e Sierra Leone, aprendo la strada a un risultato definito storico nella lotta contro lo sfruttamento incontrollato degli oceani.

Il testo dell’accordo, approvato nel 2023, diventerà così legalmente vincolante per i Paesi che vi hanno aderito, segnando una svolta nella governance internazionale delle acque internazionali.

Trattato ONU sull’alto mare: le nuove regole vincolanti

L’alto mare, che copre più di due terzi della superficie oceanica, è costituito da aree al di fuori della giurisdizione degli Stati nazionali. Per decenni questo “vuoto legislativo” ha favorito attività distruttive come la pesca intensiva, l’inquinamento, il traffico navale e l’estrazione mineraria, aggravate dagli effetti del cambiamento climatico. Secondo l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN), quasi il 10% delle specie marine è a rischio estinzione, mentre solo l’1% delle acque internazionali gode oggi di una protezione reale.

Il collasso del sistema di correnti oceaniche dell’Atlantico
© Pixabay

Il trattato stabilisce l’obiettivo di proteggere almeno il 30% degli oceani entro il 2030 attraverso la creazione di nuove Aree Marine Protette (AMP) anche in acque internazionali. Queste zone saranno sottratte alle attività più dannose, con regole stabilite collegialmente dai Paesi firmatari. Ogni Stato potrà proporre aree da tutelare e votare sulle modalità di gestione, garantendo un approccio condiviso e multilaterale. La governance, tuttavia, resta una sfida: saranno infatti i singoli Stati a valutare l’impatto ambientale delle proprie attività, con la possibilità per gli altri di sollevare obiezioni. Per questo saranno fondamentali trasparenza, monitoraggio indipendente e collaborazione internazionale.

Tra i firmatari figurano l’Unione europea con vari Stati membri, insieme a Paesi come Norvegia, Corea del Sud e Cile. Mancano però potenze globali come Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e Italia, la cui assenza rischia di limitarne l’impatto complessivo. Il trattato sarà comunque vincolante per chi lo ha ratificato, e rappresenta un passo concreto verso la protezione della biodiversità marina.

Il valore simbolico dell’accordo ONU

Oltre all’aspetto normativo, l’accordo ha un forte valore simbolico. Come ha dichiarato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, il trattato dimostra che, anche in un contesto internazionale frammentato, è possibile raggiungere risultati vincolanti quando l’urgenza ambientale viene riconosciuta come priorità comune. Le principali organizzazioni ambientaliste hanno accolto con favore l’annuncio: il WWF lo ha definito un “catalizzatore positivo” per la cooperazione, mentre Greenpeace lo ha celebrato come un “punto di svolta” nella storia della tutela degli oceani.

Il collasso del sistema di correnti oceaniche dell’Atlantico
© Pixabay

Il cammino verso l’entrata in vigore non è stato semplice. Fino al 2024 le ratifiche erano poche e si temeva che non si sarebbe mai raggiunta la soglia minima. Ma un’accelerazione negli ultimi mesi ha permesso di superare il traguardo, aprendo la strada a un futuro in cui l’alto mare non sarà più una terra di nessuno, ma uno spazio protetto da regole condivise e orientate alla salvaguardia del pianeta.

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